1 – INTRODUZIONE e TANKA –

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A cura di Alberto Baroni.

Questa stanza dell’Agorà permanente di letteratura spontanea relativa alla poesia Giapponese, non ha la pretesa di spaziare approfonditamente nella sua totalità, ma solo di facilitare la conoscenza e la composizione delle sue principali forme, privilegiando altresì quelle che arrivate in occidente sono ancora oggi praticate, e cioè il TANKA, e principalmente l’HAIKU, con brevi accenni, in seguito, anche di quelle che non hanno avuto lo stesso privilegio.

Un po’ di Storia:

Anticamente, nei primi secoli d.C. i Giapponesi scrivevano poesia solo utilizzando Il Cinese classico; all’idea di “lingua scritta” (文) si associava esclusivamente tale lingua. Era inconcepibile anche solo pensare di scrivere in un’altra lingua.

Dopo diversi secoli in cui il cinese classico fu l’unica lingua scritta, in Giappone iniziarono i primi tentativi di trascrivere la lingua locale utilizzando gli hànzì (漢字, in giapponese kanji) che in congiunzione con i sillabari giapponesi hiragana e katakana, ne cambiavano completamente il senso.

A partire dal sesto secolo d.C. la poesia prodotta in Giappone fu una poesia bilingue, il KANSHI 漢詩 in cinese o similcinese e la WAKA (和 歌) poesia in giapponese in senso lato.

Sebbene entrambe siano scritte in caratteri cinesi (漢字“kanji”), esse sono nettamente differenziate, dall’uso che fanno di questi caratteri. Infatti, mentre la poesia in lingua cinese attribuisce ai “kanji” un valore esclusivamente semantico, la poesia in lingua giapponese li usa ora con valore semantico, ora con valore fonetico (ad esempio per esprimere le desinenze dei tempi e dei modi verbali, che in cinese non esistono).

Molte forme di poesia presenti dal VI secolo in avanti, furono caratterizzate dall’una o dall’altra forma di scrittura.

Molte delle poesie scritte con il sistema WAKA le troviamo già presenti nella grande antologia di poesia giapponese il Manyōshū «raccolta delle diecimila foglie», ( completata fra il 710/784 d.C.) che contiene 4496 poesie, quasi tutte composte fra il 645 e il 760 d.C., di cui un buon quarto di autore anonimo, il resto di 561 poeti e dove al suo interno troviamo varie forme metriche, fra le quali: la tanka ((短歌) letteralmente poesia breve, chiamato anche (yamato-uta (大 和 歌),  la chōka (長 歌 che significa letteralmente “poesia lunga”), la bussokusekika (poesia che loda le virtù del Buddha), la sedoka (poesia che torna a capo) e la katauta 片歌 (“frammento di poesia”), la forma più breve del waca, composta di sole diciannove sillabe (5-7-7) e considerata da molti storici la base della poesia Giapponese.

Molte di queste forme metriche nei secoli successivi al Periodo Heian (794-1185 d.C.) caddero lentamente in disuso, ad eccezione del Tanka, così che la Waka, in un panorama di modernizzazione, venne definitivamente identificata, alla fine del XIX secolo, con il solo termine “TANKA” ((短歌) dal poeta e critico giapponese Masaoka Shiki.

 

TANKA definizione

Il Tanka (letteralmente: poesia breve), genere tradizionale di poesia giapponese, è un genere di componimento nato nel V secolo d.C. che come abbiamo visto nei brevi cenni storici, faceva parte della Waka (la poesia in giapponese).
Grazie alla sua versatilità e alla pratica ininterrotta, non ha mai subito variazioni nel corso dei sedici secoli della sua storia, fino ai giorni d’oggi.

Il Tanka, ha la seguente struttura metrica: 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe (in totale 31 morae = sillabe) e viene considerato come composto da due ku [strofe] rispettivamente:
La prima:
di 5-7-5 sillabe, chiamato kami no ku (上の句) o frase superiore, quella che introduce o meglio apre l’argomento del componimento.
La seconda:
di 7-7 sillabe, chiamato shimo no ku (下の句) o frase inferiore, quella che chiude l’argomento di cui sopra.

NB – Tale forma metrica, cioè questa del Tanka, sarà quella che verrà usata nella prima metà del XIV secolo nel renga (poesia a catena o poesia legata) che vedremo in seguito dove lo Hokku o strofa di apertura o d’esordio ( 5-7-5), divenne la parte più importante di tale poesia, tanto che molti artisti la cominciarono a chiamare haikai no hokku, e a considerala vieppiù autonoma e degna di essere trattata a parte, da qui il termine contratto di Haikai, per poi diventare nella seconda metà del XIX secolo l’HAIKU.

I Tanka non hanno titolo.

Le sillabe dei vari versi possono essere composte secondo le regole metriche della nostra poesia, che tratteremo, qui di seguito, oppure composte con un conteggio grammaticale.

Nel Tanka c’è SEMPRE il riferimento alla natura e alle sue stagioni (Kigo, Kidai o piccolo Kigo), argomento che tratteremo ampliamente parlando poi dell’Haiku.

A volte, nei Tanka di alcuni autori più vicini ai nostri giorni, può capitare di non trovarlo, ciò non deve portarci a non usarlo a prescindere, meglio se lo usiamo.
Il tanka fa riferimento alla vita in generale, ai sentimenti, alle sensazioni dell’autore, connotazioni ironiche sulla natura umana, ironia demenziale e, a volte, ha anche toni triviali.
Sono quindi ammesse figure retoriche quali ad esempio la metafora, la metonimia, o la personificazione, in genere le figure semantiche; mentre ad esempio la ” Iperbole ” che è una figura retorica logica non è ammessa, come non sono ammesse nemmeno le figure retoriche Morfologiche, fra le quali in primis ” L’Apocope “.

Quando usiamo il kigo o il Kidai, preferibilmente meno il piccolo kigo, meglio se lo inseriamo nei primi tre versi, però può trovare accoglimento anche negli ultimi due settenari; quindi non sono obbligatorie tutte le regole di purezza che invece contraddistinguono lo Haiku.

Il Kireji – lo stacco (Kire), per noi Italiani un nostro segno di interpunzione o il famoso trattino (-), va sempre usato nei primi tre versi.
– Si può usare come segno dello stacco anche la nostra punteggiatura, cioè il punto o un punto esclamativo o interrogativo. In questo caso possiamo iniziare il verso successivo con la maiuscola.

L’uso del Kireji, ancor più nell’Haiku, ha lo scopo di produrre uno spazio vuoto, quasi un invito al lettore di fermarsi in quel punto a meditare, quasi per dargli il tempo di metabolizzare l’immagine descritta.

Nel Tanka possono essere presenti, come già detto le emozioni, i sentimenti, le sensazioni dell’autore.
Quindi nel rispetto della metrica o del conteggio grammaticale la massima libertà.
I due settenari finali, possono essere ESPLICATIVI di quanto espresso nei primi tre versi, cioè spiegare, argomentare o rafforzare.
O CONTRADDITTORI, cioè che devono smentire, negare o contrastare, ciò che si è espresso nei primi tre versi.

Ma non c’è una regola precisa anche se, molti autori classici, sembrano prediligere quelli esplicativi che è anche la forma che io preferisco, ma ognuno è libero di scegliere.

Esempi sia metrici che grammaticali

Autore Arashisei

rendimi il sonno
greve e forte pulsare
preda di lupi-
la luna in cui mi svegli
è celata di nubi

Autore Fabrizio Frosini

t’ho aspettata
nel chiarore lunare
del primo quarto-
quando non sei venuta
ho amato la luna

è l’amarezza
per la vita che dura
a rattristarmi-
venga dunque la luna
a farmi compagnia

Aurore Santino Cicala

verso settembre –
ora per il trapasso
al grigio autunno
la fuscia elargisce
gli ultimi fiori rossi

finché i colori
d’autunno non saranno
vivi e forti-
non rivedrò il volto
della mia amata

strada del borgo:
sulla soglia di casa
solitudine –
ma qualcuno passerà
per una buona notte

Autore Carmelo Salvaggio

d’acqua e vento
l’inverno fu cilicio
al vecchio pesco –
ora la primavera
accarezza i rami

Autrice Caterina Sale

pioggia di maggio –
sono arrivati i corvi
morti di sete.
Avremo tante lune
ancora da ammirare

Autrice Daniela Zglibutiu

mille scintille
si accendono sull’erba
in primavera.
Non è stato cosi anche
il nostro primo incontro?

Autore Fabrizio Pecchioli

Ginkgo biloba
plana lieve al suolo
un’altra foglia.
Con un’ala soltanto
volerà la farfalla

Autrice Lucia Fontana

il nostro dialogo:
la pioggia di stanotte
sui davanzali.
Un cielo trasparente
al risveglio c’illumina.

Autore Mauro Battini

sopra la pietra
ubriaca di sole
la lucertola.
Sul muro scolorito
grappoli di glicine

Autore Pasquale Asprea

lungo l’Aurelia
mi soffermo a guardare
la mareggiata.
Penetrante il profumo
del pitosforo in fiore

Autore Silver Eagle

è ancora inverno
ma già sul ramo sboccia
il primo fiore.
Con la neve si scioglie
anche il suo profumo

Autore Alberto Baroni

ardente estate-
si schiuse a me il tuo corpo
come una rosa
da allora quel fiorire
è diventato casa

Fonti dalle quali sono stati tratti gli esempi: il libro ” Karumi ” di Fabrizio Frosini e le Riviste online ” Cinquesettecinque ” e “Rumore d’Acqua”

L’argomento Riferimento stagionale (Kigo – Piccolo Kigo – Kidai) sarà meglio illustrato nei post che seguiranno relativi allo ” HAIKU”

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Per chi sceglierà di comporre i Tanka e gli Haiku che vedremo a brevissimo, secondo la nostra metrica, che personalmente prediligo, ecco le principali regole da ricordare, regole metriche che valgono anche per tutte le altre forme di poesia giapponese nella quale la presenza di quinari e settenari sarà costante:

-REGOLE METRICHE –

-COSA È L’ACCENTO TONICO: nelle parole l’accento tonico indica la sillaba su cui la voce si appoggia con maggior intensità. Normalmente l’accento tonico non viene indicato graficamente perché è un elemento del linguaggio orale, ma viene riportato dai Dizionari per suggerire la corretta pronuncia.
Favola- [fà-vo-la].

Per semplicità in questa sede vi enuncio che cosa è un accento obbligatorio:

L’ACCENTO OBBLIGATORIO: che è quello che definisce metricamente il verso è quello che cade sempre sulla penultima sillaba del verso stesso.

Le parole italiane, in base alla posizione in cui si trova l’accento tonico, si classificano in:
PAROLE PIANE: hanno l’accento sulla penultima sillaba e sono le più numerose nel vocabolario italiano. Si tratta di parole come:
càsa–lìbro–piède–giornàle–marìto–patàta etc.

PAROLE SDRUCCIOLE: hanno l’accento sulla terzultima sillaba. Dopo le piane sono le più frequenti in italiano.
pàllido-sàndalo-zùcchero-antipàtico-sistemàtico-imbevìbile etc

PAROLE TRONCHE: hanno l’accento sull’ultima sillaba e sono quelle che devono segnalare l’accento anche graficamente
caffè-città – virtù – gioventù-lunedì-maturità-università etc
Ma in questa categoria entrano anche tutte le parole che vengono troncate o apocopate:
Es: Ve – dran – no… apocopata in…Ve – dran
oppure:
Bel – lo …apocopato in Bel
Cie – lo …. apocopato in ciel
NB: Per vedere come è sillabata una parola basta avere un buon Dizionario, anche online, che fornirà la suddivisione in sillabe della parola cercata e anche dove cade l’accento tonico.
Bisogna quindi sempre controllare dove cade l’accento tonico della parola alla fine del verso, perchè in base a questo il verso si definirà a sua volta verso piano, sdrucciolo o tronco.
Perché è importante? Perché metricamente le sillabe si contano in maniera diversa da quella che ci hanno insegnato a scuola, che è la sillabazione grammaticale.
Ciò che a noi interessano sono sempre i versi -PIANI- e in questa sede in particolare i:
QUINARI- cinque sillabe grammaticali – accento tonico obbligatorio sulla 4° sillaba.
e i:
SETTENARI- sette sillabe grammaticali – accento tonico obbligatorio sulla 6° sillaba.
Quindi un QUINARIO o un SETTENARIO PIANO – sono quelli che anche grammaticalmente sono di cinque o sette sillabe, e l’accento tonico obbligatorio sarà sempre sulla 6° sillaba.

Gli altri tipi di verso, cioè i TRONCHI o gli SDRUCCIOLI, (vedi sopra) si misurano sempre sui versi PIANI e purchè abbiano l’accento tonico obbligatorio che cade sulla 4a e 6a sillaba; i TRONCHI, saranno metricamente conteggiati come se avessero una sillaba in più e gli SDRUCCIOLI, come se avessero una sillaba in meno.
Per non appesantire troppo l’argomento vi porto in esempio tre settenari:
Il | re | gno | del| la| mòr | te
Settenario PIANO, grammaticalmente di 7 sillabe accento tonico sulla 6° sillaba.

Fre| quen| te| vo| le| rò
Settenario TRONCO, grammaticalmente di 6 sillabe, accento tonico sulla 6a sillaba, metricamente si conteggia una sillaba in più.

Fra| le| de| vo| te| vér| gi| ni
Settenario SDRUCCIOLO, grammaticalmente di 8 sillabe, accento tonico sulla 6a sillaba, metricamente si conteggia una sillaba in meno.
Ecco quanto sopra detto riunito in una strofa della ” Vita Rustica ” del Parini dove i versi sono tutti settenari e l’accento tonico cade per tutti sulla sesta sillaba tonica evidenziata in rosso. (^) è la sinalefe che vediamo  qui di seguito.

Ve la scrivo così come è poi ve la sillabo:

Me non nato a percotere
Le dure illustri porte
Nudo accorrà ma libero
Il regno della morte
No: ricchezze nè onore
Con frode o con viltà
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà

Me| non| na |to^a| per |cò|te| re…..Sdrucciolo
Le | du | re^il| lu |stri |pòr|te………..Piano
Nu |do^ac| cor | rà| ma| lì |be| ro….Sdrucciolo
Il | re| gno | del | la – |mòr |te………..Piano
No:|ric |chez| ze |ne^o |nò|re………..Piano
Con | fro| de^o|con |vil| tà……………Tronco
Il | se | col| ven | di | tò |re…………….Piano
Mer| car |non | mi | ve |drà……………Tronco

Faccio notare che all’interno di questi versi ci sono alcune sillabe unite da una ^, segno grafico che uso solo per evidenziare che in quel punto è stata applicata una SINALEFE, che vedremo qui di seguito. Come potete verificare gli accenti obbligatori di tutti i versi di cui sopra cadono sulla 6° sillaba, e per questo sono tutti settenari.

Questa regola metrica vale anche per i quinari e per tutti gli altri tipi di verso fino agli endecasillabi.

VEDIAMO COSA PUÒ SUCCEDERE ALL’INTERNO DEL VERSO:

LA SINALEFE
Per vostra evidenza la indicherò con il segno grafico (^) ma nella stesura del verso non deve essere indicato, sarà il lettore, che, se vorrà controllare se il verso è metricamente corretto, lo dedurrà.
È il termine tecnico (figura metrica) per indicare genericamente il fenomeno della fusione di due sillabe consecutive che diventano una sola sillaba. Avviene quando, all’interno di un verso una parola termina per vocale e la parola successiva inizia per vocale.
Potremmo chiamarla anche Crasi, ma noi per comodità la chiameremo sempre SINALEFE che è, delle regole da tenere in mente, sicuramente la più importante e quella che più spesso ci capiterà.
Esempio:
La casa amica
la – ca – sa – a – mi – ca
conteggiandolo grammaticalmente, il verso risulta di 6 sillabe
ma la parola “casa” termina per vocale e la parola “amica” inizia per vocale. Le due sillabe, per effetto della sinalefe si fondono in una sola sillaba, riducendo il verso a 5 sillabe:
la – ca – sa^a – mi – ca 5 sillabe metriche.
Importante ricordare che:
la sinalefe coinvolge anche vocali appartenenti a due parole separate da una virgola o da altra punteggiatura e vocali atone con vocali toniche (cioè, rispettivamente, con o senza accento tonico) e anche più vocali contigue e può essere usata più volte all’interno dello stesso verso ed è la figura metrica che io consiglio in assoluto.
Esempio:
Amare e ancora amare
A – ma – re^e^an – co- ra^a- ma – re

LA DIALEFE
(dal greco dialéipho, “separo”), è una figura metrica che consiste nel tenere distinte, nel computo delle sillabe, due vocali, di cui una alla fine di una parola e una all’inizio della successiva (la dialefe è dunque il contrario della sinalefe). Si applica spesso in presenza di monosillabi o di sillabe fortemente accentate.
Non avrei voluto nemmeno parlarvene, perché io ritengo che preferibilmente si debba usare sempre la sinalefe, perché da Petrarca in poi, che la usò talvolta, e anche in casi differenti, la dialefe viene messa da parte e sentita come un tecnicismo arcaico, da utilizzare solo in casi speciali.
E questi casi speciali io li ridurrei solo quando entrambe le vocali, sia quella finale che quella iniziale, sono toniche, cioè: o hanno entrambe l’accento tonico che le caratterizza o sono entrambe veramente accentate…vedi:
È/or commesso il nostro capo Roma (Petrarca) È ha l’accento a tutti gli effetti ed Or invece ( che deriva dalla apocope di ora ) è accentata tonicamente.

VEDIAMO COSA PUÒ SUCCEDERE ALLA FINE E ALL’INIZIO DI UN VERSO.

Introduco prima il concetto di VERSO IPERMETRO: un verso ipermetro è un verso che rispetto a quello che è nostra intenzione scrivere ha una sillaba in più; che magari ci è difficile ridurre senza modificarne il significato; questa precisazione ci servirà per capire meglio le sottostanti due figure metriche.

LA ANASINALEFE
La sillaba con cui inizia un verso ipèrmetro viene assorbita, formando sinalefe, dalla sillaba finale del verso precedente. In questo caso il verso che prima era ipèrmetro ora non lo è più. Consideriamo i seguenti versi che potrebbero essere il secondo e il terzo di un haiku:

Mil| le| co| se| la| se| ra – 7 sillabe grammaticali
an| co| ra| da| fa | re – 6 sillabe grammaticali = verso IPERMETRO

Come ovviare senza cambiare il secondo verso, applichiamo fra i due versi l’anasinalefe, per cui l’ultima sillaba della parola “se–ra” forma anasinalefe con la sillaba iniziale del verso successivo, (an–co–ra), e a sé l’assimila, togliendola al conteggio dell’ultimo verso; che risulta così rientrante nella regola per cui quello che era già di sette sillabe rimane di sette sillabe, mentre il successivo si può ora conteggiare in 5 sillabe.
È un concetto più difficile da assimilare, che non da applicare, vediamo come: ve la indico graficamente sempre con il segno grafico (^) ma che nella stesura dei versi, come già detto in precedenza non deve apparire. Lo dedurrà il lettore.

mil | le | co | se | la | se | ra^an –
questo verso rimane di 7 sillabe metriche

co-ra-da-fa-re –
quest’ultimo diventa di 5 sillabe metriche.

LA EPISINALEFE
La sillaba finale di un verso ipèrmetro si fonde con la sillaba iniziale del verso successivo, e da questa si fa inglobare. Il verso che prima risultava ipèrmetro ora verrà conteggiato con una sillaba in meno.

un canto qui
mille farfalle piccole
alzano al cielo

Conteggiamo i tre versi grammaticalmente:

un | can | to | qui 4 sillabe grammaticali, ma il verso è tronco quindi si conteggia una sillaba in più ed è a tutti gli effetti un quinario.

Mil| le| far | fal | le | pic| co | le – 8 sillabe grammaticali = verso ipermetro
al | za | no^al | cie | lo – 5 sillabe metriche per effetto della sinalefe.
Quindi il primo e il terzo sono metricamente a posto essendo entrambe due quinari, come sistemare invece il verso ipermetro? Poiché finisce con una vocale e quello successivo inizia con una vocale possiamo applicare l’episinale così:

mil | le | pic | co | le | far |fa – ora di 7 sillabe metriche
le^al | za | no^al | cie | lo – che rimane di cinque sillabe metriche.

È esattamente il contrario della Anasinalefe…

IMPORTANTE PRECISAZIONE:
Per non fare qui di seguito un trattato sulla sillabazione, sui dittonghi – iato – dieresi e sineresi, vi fornisco una semplice regoletta alla quale se vi ci atterrete sarete sempre nel giusto:
Nella composizione di Haiku, Tanka e in genere di poesie che hanno una piccola quantità di sillabe a disposizione, la regola è quella di considerare possibile, all’interno del verso, in presenza di parole bisillabiche come mio, tuo, suo, due, lui, via, dio, dia, zio, zia, pio, pia, bio, bue, bua, lia, brio, trio, etc, la divisione in sillabe in due modi diversi, a seconda delle necessità del verso.

ESEMPIO:
1)
“nella mia casa” può essere conteggiato:
nel-la-mì-a-ca-sa 6 sillabe
2)
nel-la-mia-ca-sa 5 sillabe
Per non cadere in errore e se proprio non se ne può fare a meno io consiglierei di applicare sempre l’esempio 2, cioè considerare mio un’unica sillaba all’interno del verso …Così non si sbaglia mai

NB: Se invece l’aggettivo “mio o mia “ o altre parole bisillabiche, fossero a fine verso:
il verso avrebbe inderogabilmente 6 sillabe
nel-la-ca-sa-mì-a

NB: Per chi volesse approfondire in maniera più esaustiva l’argomento “METRICA” consiglio di visitare l’altra stanza di questo Blog dal titolo “PRINCIPI DI METRICA NELLA POESIA ITALIANA”

 

 

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