Michele Laviola

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Si salutarono ed insieme imboccarono la Via delle Gambe Incrociate. Parlarono dei loro attimi vissuti distanti, dell’alternarsi delle loro vicende e marciarono per centinaia di metri. Decisero di bere un caffè accompagnato da un bicchiere d’acqua ghiacciata. Un bar anonimo. I viandanti entrano, si imbattono in ogni bene offerto dalla casa, si accingono a fiutarsi, annusarsi ma soprattutto a comprendersi. Motivo della nascita dei posti di ritrovo è sempre quello di rendere meno veloce la nostra vita, di fermarsi a prendere fiato, di annotare che ogni attimo vissuto viene prelevato dal credito esistenziale.

Michele Laviola

Michele Laviola, concepito in Lucania, nato a Bari insieme alla sua gemella Maria. Ha vissuto a Policoro (Matera) fino all’età di 19 anni, trasferitosi a Genova dove ha conseguito una laurea ed un dottorato in ingegneria navale. Membro di due band musicali con all’attivo alcuni brani cantati e suonati in prima persona. Adesso lavora ad Amburgo in una società di ingegneria navale. Il saluto di Goran è la sua prima opera.

Dal romanzo “Lontano e oltre”

 “La casa è sfitta. Il cielo è la dimora dello spirito. La gravità stabilisce il prezzo. L’energia si consuma. Ogni cosa è perduta”.

Goran proferì queste ultime parole prima di addormentarsi avulso da tutto e raggiungendo con la vista l’ultimo angolo in alto a destra della camera nella quale il suo corpo era ospitato.

Il sonno è una chiara manifestazione di scambio energetico tra l’uomo e un suo prodotto: il letto. Il letto contiene un’assurdità di informazioni, dalla sua natura più intrinseca al movimento di macchinari e cellule con cui si è confrontato. Quando si produce un oggetto ben definito nella sua forma e nel suo peso, non è la natura ad essere trasformata e resa più umana ma è l’uomo ad adeguarsi e trasformarsi in base ai canoni della natura umana. Questo si chiama società.

In lontananza gli ultimi rumori di sempre. Un motorino che ronzava tra le arterie della Città Infinita. Le onde del mare che seppur lontane producevano il loro moto perpetuo. Tutto in continuo movimento: il bar e la sua macchina del caffè, la disperazione di chi non dorme mai e l’odore dei fumi di scappamento: una coltre grigia che aleggiava pure di notte.

Poi il sonno si fece vero.

 

“La Bandella” dell’editore

Devo – e voglio – premettere una cosa. Da editore e da lettore prima di tutto, quando leggo per trovare un buon scritto inedito o quando leggo per distrarmi o passare il tempo, comunque sia, la lettura deve trasportarti. Perché una lettura come si deve, deve essere, intrinseca a prescindere ed estrinseca allo stesso tempo. E qui si parla proprio di tempo e del tempo di parlar del tempo. A volte in maniera profonda, a volte in modo superficiale ma Goran (qui in una specie di sequel) sempre, non lascia il caso al caso. Goran è curioso ed entra nel dettaglio. È curioso, quando domanda al primo che incontra, quando approfitta del suo amico del cuore (che poi altro non è che l’opposto piatto della bilancia di se stesso) e al batti e ribatti del concetto non fa altro che domandarsi e rispondersi da solo. Ma su cosa? Sulle cose quotidiane. Quelle della vita. Quelle del tempo che passa indissolubilmente e prevarica i tempi stessi delle volontà, che tentano di costruire; ma con tempi loro.

Ecco, il tempo, quello palesato tutti i giorni. Cioè Kronos, che non attende Kairos. E Kairos si rammarica. Si percuote le membra, per non saper stare al passo, non riuscendo a completare l’opera. E Goran non fa altro che porsi il dubbio. Saper resistere in questo palco che è la vita. Voglio inoltre pensare che in quelle massime, di cui questo racconto è pieno, in quelle dinamiche da quotidiano viver tra casa e ufficio, tra ufficio e intervalli e aperitivi e scuse per esser sociale, ebbene Goran le provi tutte.

L’autore, un po’ come nelle vesti di uno Zarathustra di casa nostra, si barcamena, tra le sue paranoie e i suoi stratagemmi frontali alla vita stessa, ma solo ed esclusivamente per salvarsi dagli eventi repentini e dai luoghi comuni che gli vengono sparati da destra a manca: dalla televisione, dalla mente impavida degli assolutisti delle verità strampalate – che poi magari strampalate effettivamente non sono – e da lui stesso, che si auto inganna. O dal passaparola, tanto per passar parole.

Una specie di venditore piazzista kafkiano che ragionando di sé e per sé, in fondo ragiona di altri per gli altri e forse proprio, anche per sé. Un libro di riflessione, dove la scusa del raccontarla, in fondo diventa costrutto per farla leggere. Direi che potrebbe valere il biglietto anche solo leggere le prime trenta pagine. Ma poi, non ho dubbi, si arriva in fondo senza neppure troppa fatica e si resta convinti che forse l’autore, tra il serio e il faceto, deve essere passato, senza che ce ne fossimo accorti mai, anche in mezzo alla nostra quotidianità, riconoscendo noi stessi, tra una parola e l’altra un po’ di quel Goran, senza avere mai saputo d’esserlo.