IL KEIRYŪ

Molte delle forme di poesia nate in Giappone, lo Haiku, il Gendai Haiku, il Tanka, il Senryu, il Sedoka, l’Haibun  le abbiamo già esaminate, come pure abbiamo visto una particolare forma derivata o d’ispirazione Giapponese che è il Kokoro No Hana.

Qui di seguito prendiamo in esame un’altra forma derivata “ Il KEIRYŪ” che a dispetto di ciò che potrebbe lasciar trasparire il nome è anch’essa nata in Italia nel Luglio del 2010 dove come per il Kokoro No Hana a stabilirne le regole sia sotto il profilo formale che contenutistico è stato LUCA CENISI, a suo tempo presidente dell’Associazione Italiana haiku.
Quindi per comodità posto l’articolo di Luca Cenisi, tratto dal sito “ Rumore D’Acqua “ per introdurvi a questa forma poetica che vi consiglio di esaminare perché è fondamentalmente la più vicina al nostro modo di pensare/poetare occidentale e nel leggere tale articolo capirete perché.

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Il KEIRYŪ (dal giapponese, letteralmente, “torrente di montagna”) è un componimento poetico di quarantadue sillabe distribuite in cinque versi, secondo il seguente schema metrico: 7-9-8 9-9.

È un genere poetico dai toni metafisico-esistenziali e filosofici, il cui scopo è quello di consentire all’uomo una profonda e sincera indagine introspettiva.
I primi tre versi costituiscono lo IZUMI (“sorgente”), mentre gli ultimi due, ad essi intimamente connessi ma di più ampio respiro concettuale, formano il cosiddetto NAZO NO KAZE (letteralmente, “enigma del vento”), ovvero un’incisiva e criptica conclusione (o un paradosso) che stimoli il lettore ad una riflessione esistenzialistica sul tema affrontato.

Nel KEIRYŪ, a differenza di altri generi poetici quali, ad esempio, lo Haiku e il Tanka, le suggestioni ispirate dalla natura e dall’incessante alternarsi delle stagioni divengono occasione di (auto)analisi intimistico-spirituale, punto di partenza per un percorso di consapevolezza che, nel nazo no kaze, trova la propria essenza giustificatrice.

Oltre a dover contenere il cosiddetto “SASAYAKU” ( sussurro), ovverosia quel tema esistenziale (manifesto o “indiretto”) che costituisce l’epicentro concettuale dello scritto e che emerge dall’incontro/scontro dello izumi e del nazo no kaze, il KEIRYŪ può prevedere, nel proprio impianto lirico, uno o più “kizuna” (collegamento, vincolo); si tratta, in buona sostanza, di particolari parole, gruppi di parole o segni d’interpunzione ( : ; … , – . ) atti a costituire una vera e propria divisione (fisica o concettuale) del discorso poetico, rimarcando, così, il distinguo tra le due parti (appunto lo izumi e il nazo no kaze), diverse ma interdipendenti, dell’opera.

I principi cardine (al contempo, “estetici” e di contenuto) che devono guidare il keijin (けいじん, ossia lo “scrittore di keiryū) nella stesura dell’opera sono:
– la transitorietà (“hakana-sa) dell’essere, in relazione all’inesorabile scorrere del tempo;
– la cripticità (“fukakaina” ) del messaggio veicolato dal poeta, volto a stimolare una profonda riflessione intimistica nell’animo del lettore e, conseguentemente, una pluralità di soluzioni interpretative, tutte egualmente valide (vedi, in tal senso, la strutturazione “paradossale” del nazo no kaze);
– la sintesi armoniosa (“hāmonī”) tra il vissuto personale del keijin e la visione astratta del reale, che trova riscontro nella reciproca ed armoniosa compenetrazione tra izumi e nazo no kaze

IL KEIRYŪ, DI REGOLA, NON HA UN TITOLO.

ESEMPI DI KEIRYŪ

Un ticchettìo mi sveglia
la pioggia batte senza posa
sta innaffiando il mio giardino
si sente il borbottio del mare
strano silenzio dentro di me

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Il tempo ha i suoi umori
se il sole non mi riscalda più
c’è la piogggia che mi bagna-
primavera è una capricciosa
bimba bella se piange o ride

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Alto vola il gabbiano
splendida apertura alare
lascia il mare e cerca alture-
il pensiero lo segue lassù
non guarda alla terra ma al cielo

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Lieto sorge il mattino
i raggi del sole inondano
il letto ancora disfatto-
speranza dopo i temporali
ritorna il sereno e la quiete

Altri due esempi di Luca Cenisi:

Voci di pentagramma
nel battesimo delle onde,
nell’accordo delle labbra
strette a ricordare la marea,
il la bemolle dei violini.

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Ciò che amavo del camino
era l’intima insistenza
dello zolfo nelle braci,
quel suo curvo evaporare
sull’alare dei ricordi