Armida Fogli Valpreda

Gli amici dell'Inedito Letterario > I NOSTRI AUTORI > Armida Fogli Valpreda

Armida Fogli Valpreda

Armida Fogli Valpreda, nata a Venezia nel 1937, laureata in Lettere moderne all’Università di Padova, ha insegnato Lettere alle medie e poi Storia dell’Arte alle superiori. Attualmente in pensione, da più di vent’anni è consulente bibliotecaria della Biblioteca Comunale di Terrassa Padovana. Appassionata da sempre di pittura e scultura, ha preso parte a diverse mostre d’arte  negli anni ’70 e ’80. Scrive da sempre e ha pubblicato poesie e racconti in riviste letterarie, fra cui “Selva” di Torino e antologie, come “I poeti del Mare”, “Bontà” e “Prismi azzurri”. Classificatasi seconda al Concorso Nazionale di Fiaba “Città di Mede” del 1999, lo ha vinto nel 2001. Segnalata nel Concorso "Città di Conselve – Racconto una fiaba" nel 2004, ha vinto la sesta edizione del Premio di Letteratura per Ragazzi “Giovanna Righini Ricci” nel 2005 con il romanzo “I tredici anni di Max”, pubblicato da Il Capitello nel 2007. Questo romanzo è stato adottato come libro di narrativa in diverse scuole medie e ha partecipato all'edizione 2010 del Premio letterario Annamaria Castellano libri per ragazzi. E’ stato inoltre scelto sia dal Centro internazionale del libro parlato "A. Sernagiotto" sia da Adov – Audiolibri per essere pubblicato come audiolibro. Segnalata all’Editore dalla giuria dello stesso concorso nell’edizione successiva, quella del 2007, per il romanzo “Un’avventura di Max”, dopo tre anni di rinvii, le è stata comunicata da Il Capitello la cessazione del settore Narrativa per Ragazzi. Il romanzo è stato perciò autopubblicato insieme con il seguito “Ogni sei ore la marea sale”. Nel 2016 è arrivata terza al concorso “Edizione straordinaria” dell'Editore Pacini con il quarto e ultimo romanzo dell’ideale tetralogia iniziata con "I tredici anni di Max", dal titolo "Il segreto di Mulligan", pubblicato nel 2019.

“Oggi”

(Dal nuovo libro dell’autrice in uscita nel mese di marzo 2020 dal titolo “Cosa ne fu di noi…”)

Il 6 settembre 2018 muore Claudio Scimone. Un mito. Un gigante della musica. Il genio che a poco più di vent’anni ha rivoluzionato la tecnica di esecuzione della musica da camera.

Anita ricorda quando quel ragazzaccio di buona famiglia con entusiasmo giovanile diceva: “Òstrega, la camera di allora era una sala gremita di gentiluomini e gentildonne che volevano divertirsi, non sbadigliare. Insomma per musica da camera non s’intendeva camera da letto”. Poi aggiungeva maliziosamente: “Non che non ci si diverta anche in camera da letto, ma mai in presenza di una dozzina di musicisti!”

Da allora non si fermò più. Con grinta instancabile Claudio fece ricerche e studiò manoscritti che spesso erano gelosamente custoditi in monasteri o in musei della Germania Est. Negli anni ’60 non era facile ottenere permessi per accedere a incartamenti e spartiti manoscritti sepolti nelle segrete dei musei di Lipsia o di Dresda e di altre città della DDR. Ma quel giovane testardo con una chiara idea nella mente riuscì a farsi aprire portoni e cancelli che si credevano inaccessibili. Nessuno sa come facesse, ma sapeva mettere in moto di tutto, dalle conoscenze vere o inventate, alla carica di fascino personale sostenuta da un sorriso irresistibile.

“Hai sentito che è morto Scimone?” Chiese Graziella entrando nella biblioteca comunale dove Anita prestava la sua opera da volontaria.

“Sì, ma solo perché me l’ha detto Susanna. Io non guardo la televisione e non leggo i quotidiani, però lo sai che ho sempre la radio accesa. Ebbene non ne avevo sentito niente. O mi era sfuggita la notizia o i giornalisti radiofonici, nella loro scarsissima cultura musicale, non l’hanno ritenuta una notizia degna di essere data”.

L’indignazione di Anita era palpabile e la sua amica Graziella era assolutamente concorde.

“Io guardo la televisione anche quella regionale,” disse, “ma ti assicuro che nemmeno lì hanno sprecato una parola. Se avesse avuto un banale incidente un decerebrato del Grande Fratello, ci avrebbero sommersi di piagnistei”. Poi chiese: “Ma tua figlia come l’ha saputo?”

“Mi ha detto che le è arrivata notizia da internet tramite un passaparola di ammiratori di Scimone”.

“Continuo a pensare all’occasione che hai perso quando i Solisti Veneti sono venuti a Conselve e ti avevo proposto di andare assieme a sentirli. Ti avevo detto perfino che sarei venuta a prenderti a casa con la mia macchina e ti avrei riportata indietro”. Il tono di Graziella era carico di biasimo.

Anita sorrise scuotendo il capo.

“È un discorso che abbiamo già fatto tante volte. Due sono i motivi per cui non sono voluta venire con te al concerto: odio le rimpatriate e non ho alcuna tendenza masochista. Sai benissimo che da quando è morto mio marito non sono più riuscita ad ascoltare la mia adorata musica da camera senza soffrire le pene dell’inferno. E il malessere devastante che mi prende nel corso del concerto mi dura per almeno altri due giorni. Perché dovrei farmi del male, in fondo mi voglio bene.” Concluse Anita.

“È vero.” Borbottò Graziella. “Me l’hai detto e ripetuto mille volte, ma continuo a far fatica a capire. Tuo marito era un violinista, lo amavi tanto, hai passato una vita immersa nella sua musica, ma caspita! È morto da quasi vent’anni e non ti sei ancora rassegnata”.

“Io sono rassegnata da tanto tempo, ma il mio stomaco no, continua a contrarsi dolorosamente ignorando i miei ordini”.

Psiche e soma sono indissolubilmente legati, pensava Anita, ma per quanto il pensiero logico affronti le situazioni tormentose ridimensionandole a eventi che fanno parte integrante della vita, ebbene gli organi interni del corpo, ignorando ogni ragionamento, reagiscono come vogliono. Dici con convinzione fra te e te: “Non c’è da avere paura”, ma il sudorino freddo ti ricopre ugualmente. “Porta pazienza, prima o poi arriverà”, ma i battiti del cuore continuano ad accelerare. “Fatti una ragione, il tuo caro non c’è più”, ma la gola si contrae e dagli occhi vorrebbero sgorgare le lacrime.

Quando poi una non è capace di piangere, l’angoscia diventa ancora più intollerabile. È una continua lotta fra raziocinio e istinto.

“Io comunque,” proseguì Graziella, “tengo come una reliquia il programma del concerto con gli autografi di Scimone, di Accardo e di Donaggio che mi hanno fatto un mucchio di feste solo perché ho detto che sono tua amica. ‘Abbracciala per me’ hanno detto tutti e tre, rattristati dal non averti vista”.

“Avrebbero visto una signora âgée con i capelli candidi, il corpo rinsecchito e il volto pieno di rughe. Sai che bellezza!”

“Sono invecchiati anche loro”.

“Appunto, perciò non li ho voluti vedere. Nei mei ricordi c’è un vispo Pino Donaggio sbarazzino e mai fermo, come una cavalletta. Un Salvatore Accardo bello come un dio greco e con un delizioso profumo di dopobarba, che mi restava incollato addosso dopo ogni suo abbraccio. Un Claudio Scimone con i suoi morbidi riccioli neri e una dentatura candida dietro un sorriso irresistibile. Non mi puoi distruggere queste fotografie che ho stampate nei mei ricordi”.

Graziella continuava ad ascoltare l’amica con aria scettica. “Uffa è inutile parlarne ancora.” Concluse con un’alzata di spalle. “Tu sei fissata nelle tue idee ed io non ti capirò mai. Dammi un bel libro, possibilmente poco impegnativo, perché ho già tanti grattacapi e ho bisogno di evadere con qualcosa di gradevole”.

Quando Graziella uscì dalla biblioteca, Anita si immerse nei ricordi.