Ombretta Ballestra

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Lo guardavo in viso, sembrava in pace e felice, la pelle era bianca e accarezzandogli i capelli sentii il freddo del suo corpo. Mia madre, mia sorella ed io, gli scrivemmo una lettera a testa e gliela mettemmo nella tasca della giacca affinché la leggesse appena avesse avuto tempo. Ho sempre immaginato che in quel momento si sarebbe liberato di tutto il suo dolore e di quelle colpe che aveva dentro e se ne sarebbe andato come un vero alpino. In quelle lettere lo avevamo perdonato di tutto. Al funerale c’era tantissima gente e tutti vollero salutarlo come un soldato, fu molto emozionante. Ora il suo cappello con la piuma, è in una chiesetta su una montagna come lui aveva voluto. Tornai in Spagna col cuore spezzato.

Ombretta Ballestra

Ombretta Ballestra, nata a Sanremo nel febbraio del 1977; ligure di origine ma mondiale nell’anima. Anticonvenzionale per indole, sognatrice controcorrente e caparbia viaggiatrice. Insegna yoga, ama il mare e il vento, pratica kite e surf, appassionata di cucina vegetariana.

Prefazione di Iraide Leidi

Cos’hanno in comune il giorno e la notte? Se cerchi la risposta a questa domanda sei nel posto giusto caro lettore. Questo libro tenterà di mostrartelo tra parole fatte di lacrime, sudore e passione. Esso non è statico oggetto, ma vivido soggetto. Se sceglierai di morderne le pagine troverai abbondante contrasto, condito con una buona dose di equilibrio e con un pizzico di sognante follia. Ti imbatterai nella vita irriverente e scabrosa di una donna impavida, che mise le briglie alle onde dell’Atlantico e respirò l’aria densa dell’Himalaya; una donna che scese in basso tra le dolorose viscere della Terra e risalì da quell’abisso per elevarsi nel Cielo blu notte del Deserto marocchino e volare con le aquile del Gange. Preparati: se inizierai con Prema questo percorso, dovrai metterti in gioco e conoscere segreti potenti e drammatiche verità; dovrai guardare in faccia limiti e freni emotivi che spesso condizionano l’esistenza degli uomini e forse, potrai scorgere allo specchio il riflesso del tuo vero Io attraverso l’immagine dell’autrice. Non temere: lei ti guiderà e ti accompagnerà nella tua scoperta e ti insegnerà che non può esistere il coraggio senza la paura. Qui si parla di una Donna che si mette a nudo, gridando il diritto di esistere e di esprimersi liberamente, in quanto femmina e in quanto essere umano. La vedrai crescere e la seguirai mentre comprende come accettarsi, scoprendo nella propria fragilità la sua più grande forza. Non troverai parole altisonanti ma parole piene di emozione e di sincerità che guideranno alla consapevolezza che la Vita è giusta e se saprai ascoltarla, ti condurrà là dove sei destinato ad andare. Abbi fiducia. Buon viaggio.

 

Commento di Fabio Martini

Ai lettori che si accingono a leggere questo libro, premetto, non si aspettino chissà quale storia dotta. Questo scritto è solo un diario, niente più che un diario di viaggio: ma lungo vent’anni. Senza date, né ritorni. Condito da uno scrivere un po’ come si parla e un po’ come si mangia; difetto che a volte non guasta. Ma è un viaggio di sola andata, che parte da una fuga da casa, come mill’altre al mondo e che in qualche modo arriva ad un’altra dimensione. Attraversando cuore e anima della narratrice e se alla fine avrai letto con la stessa mia passione, neppur tanto in fondo, potresti scorgervi l’anima tua stessa che sorride seduta accanto a te.

Un sentiero questo, che di tanto in tanto ti farà alzare lo sguardo al cielo scorgendovi magari, quella stessa identica aquila di cui si parla proprio nella pagina che avrai lasciato aperta davanti ai tuoi occhi, proprio in quel cielo stesso dove un’aquila, incredibilmente, non s’era vista mai. Un volo planato tra mondi interiori. Un suono di Rama qui, un infinito Mantra là, a coprire come in un sogno, lo sguardo sopra le valli e i passi della nostra umile esistenza. Un Ashram sui monti più alti del nostro piccolo mondo – in fondo – nel silenzio della natura eppure assordante, nel silenzio della nostra stupida vita cosiddetta occidentale.

Finirai nelle vicissitudini di una esistenza normale quindi, quella che sarebbe auspicabile vivere veramente, invece che stare seduti ad una scrivania per tutta la vita o in fabbrica a contare i giorni alla pensione o sul treno, a timbrare biglietti invece di essere il viaggiatore seduto scomodamente in quella terza classe di quei viaggi inizialmente piuttosto giovanili: dalla nebbiosa Londra, alla calda Ibiza, sino a sviar repentini sulle piste sinuose del Sahara e poi tanta Spagna, infinita Espana, quella di vento e mare, tra onde e surf tirati da un kite sull’onde dell’oceano.

Un oceano che più Atlantico di così non si può… e poi Pacifico, che più Pacifico di così anch’esso, non si può, in un Brasile appena accennato. Quindi finalmente la quintessenza della quale più si desidera sapere e conoscere, quella seconda promessa di quel titolo a parabola. Eccola quindi, nel racconto di quell’infinita apoteosi mistica – anche per chi mistico non è – che porta per nome “India”. Quell’India protagonista di tutto il voluto viaggiare della scrittrice che, senza se e senza ma, batte il pugno sul tavolo di chi non vuol farle vivere quella vita, senza alcuna ritrosia ma solo passione; passione animale, ad espiare chissà quale peccato – che forse intuiamo – ma che a noi non è dato sapere: ed è giusto sia così.

Forse mancano gli odori e i sapori in questo leggere assorto, ma non le interiori ramificazioni che portano alle accettazioni del fato.

“Chi sono io per pensare di cambiare qualcosa?” Si domanda la scrittrice per ben due volte durante il suo lungo resoconto. Orbene, quando avrete chiuso l’ultima di copertina, sorgerà in voi spontaneo il dubbio di quanto invece sia riuscita lei – e il suo Sri Prem Baba – a cambiare la vostra, se non vita, punto di vista.

 

Dal romanzo

…La nostra permanenza in Dover House quindi scorreva piuttosto bene. Imparavamo ogni giorno cose nuove e seguivamo la selezione naturale delle persone con cui vivevamo.

Vigeva la legge della strada: non vedo, non sento e non parlo. Il non rispetto e il bullismo erano all’ordine del giorno e soprattutto nella notte gli schiamazzi in corridoio da non far dormire e durante il giorno secchiate di acqua fredda nelle docce. Nessuna intimità e per andare in bagno a volte era veramente dura; ma non avevo scelta. Nonostante questo era diventata una grande famiglia.

Condividevamo tutto ciò che sapevamo fare: chi il parrucchiere, chi l’estetista, chi il cuoco, chi il trafficante e tutti erano utili a tutti. Condividevo ancora la camera con Simona in quel primo periodo e avevamo due letti, due piccoli armadi, una piccola cassettiera, un frigo e uno scaffale dove stipavamo il cibo per non farcelo rubare. Durante la notte, nel silenzio più assoluto sentivamo scorrazzare i topi per la stanza e i loro tuffi nel cestino della spazzatura con l’unico pensiero che non entrassero nel letto.

Spesso lei stava a Greenwich dall’australiano e un bel giorno decise di portarlo a Dover House a dormire con noi. Alla mattina seguente non ci fu più il problema della convivenza perché ci sbatterono fuori tutti e tre. L’australiano era mulatto e in un posto del genere non era il benvenuto e da quel momento neanche noi. Ci ritrovammo per la strada con valigie e tutto, a pochi giorni da Natale.

Conoscevamo una ragazza di Torino, Anna. Una ragazza piuttosto appariscente con la testa rasata, i lobi dilatati, obesa e tutta tatuata e come se non bastasse perennemente incazzata. Tornava in Italia per due settimane e quindi ci prestò il suo appartamento. Quella specie di loft si trovava sopra ad un negozio dell’usato con una scala per arrivare all’interno, con una camera e un bagno. Era tutto molto dismesso. Non c’era cucina; il bagno aveva un buco nel pavimento dove si vedeva il negozio sotto. La camera era senza vetri alle finestre e al posto c’erano dei giornali attaccati con lo scotch.

In quel periodo dell’anno a Londra faceva veramente freddo e in quella casa non c’era il riscaldamento e per non congelare Simona e io dormivamo abbracciate.

Mangiavamo dove capitava e ogni tanto ci concedevamo il lusso di un panificio sotto casa di alcuni ragazzi romani che avevano prodotti italiani come il prosciutto di Parma e facemmo ovviamente amicizia.

Loro vivevano in uno Squat a Her Neel appena fuori Londra. Erano in parecchi lì: quei due, una spagnola, un napoletano e altri occasionali; era una casa molto grande piena di persone abbastanza problematiche; usavano ogni tipo di sostanze e spesso viaggiavano in Scozia per andare a raccogliere funghi allucinogeni per poi farli seccare in casa e cucinarci il riso o fare infusioni. Spesso dopo quei magici risotti si creavano party piuttosto caserecci che duravano giorni. E fu una volta che in un tardo pomeriggio come tanti dove si volava alto tra quei risotti strani e un freddo glaciale  – con noi non meno che lupi senza paura in quell’aria gelida che non era certo la nostra prima nemica – Marco pensando di essere diventato un angelo, decise di volare più di tutti noi messi insieme e spiccò un volo dal terrazzo, finendo la sua esistenza sul marciapiede sottostante e congelato davanti alla porta di una casa che non era sua, né nostra, in una Londra più che mai invernale e grigia. Fu uno shock per tutti.

Dopo il volo di quell’angelo che sempre ricorderò, col tempo, uno dopo l’altro scomparimmo tutti e non solo da quella casa, ma anche da quel quartiere e forse senza accorgercene, qualcuno persino da quella Londra diventata fin troppo fredda. Ma, per quel che mi riguardava, il bisogno di provare a me stessa che non ero una fallita mi fece restare; era troppo forte il patto col mio futuro. Troppo importante per mollare così, alle prime difficoltà.

Anna due settimane dopo tornò più rabbiosa che mai e rivolle la sua casa. Simona andò dal suo australiano e non la vidi più per un bel pezzo ed io trovai una stanza in un appartamento di una famiglia scozzese…