Saro Di Modica

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Saro Di Modica

Nasco nell'ormai lontano 1966, vivo a Vittoria nella Sicilia sud-orientale; sposato, con due figlie, medico per scelta e passione, da poco mi sono avvicinato cauto alla scrittura. In questa fase della vita cerco, goloso, di assaggiare ogni tematica con gli stili più vari, sempre insoddisfatto del risultato...

Commento di Fabio Martini

La poesia, per il poeta, è un flusso. Un flusso tempestoso di pensieri trasformati in versi. Una mielata di emozioni che a volte diventa poesia, anche se il più delle volte arena, come una nave nelle acque basse di barriera che seppur corallina – ricca quindi di fauna e flora a perdita d’occhio – diventa trappola mortale anche per i migliori naviganti.

Tutto si svolge quando il poeta si ritrova sperso infatti. Incagliato nel suo stesso verseggiare. E nonostante le innumerevoli motivazioni, le idee, la buona volontà, nonostante tutto, non esce. Non quaglia. Proprio come una nave, scaraventata dall’altro lato, con l’evidente rischio di non riuscire ad uscirne più. Dietro quel flusso tempestoso di parole, amori ed emozioni, il poeta si accorge che qualcosa manca, quell’ultimo confine verso la prateria della poesia libera. E lì deve capitolare verso l’evidente quid; l’underground della conoscenza della tecnica, della ritmica, della versificazione come ferro del mestiere; quell’esercizio, se vogliamo, quel minimo comune multiplo che permette da solo la disgregazione della grammatica delle parole, per quella matematica necessaria a riporre al punto giusto, al momento giusto, la strofa, il verso, la battuta, l’accento, la rima, al fine di coniugare un verbo poetico che seppur qualunque… almeno tale sembri.

A questo punto, tutto quello che si sentiva di voler dire, di voler rappresentare, di voler esprimere appieno, si esprime. Dalla tiritera identica e ripetitiva di quel flusso tempestoso precedente, questa volta lo ritroviamo trasformato in poesia – magari accademica – ma poesia, che da quella esercitazione, subentrato il praticantato, il concreto mestiere che da mestiere diventa poesia e che seppur libera, porta già con sé, tutto quel po’ po’ di armamentario cosiddetto tecnica; e questo, il nostro poeta Saro Di Modica l’ha capito perfettamente.

Lui, da una parte esprime il verso libero camminando in punta di piedi. Dall’altro si esercita in erculee prove di tecnica poetica, facendo esercizio, ammaestrandosi ai versi classici, sapendo di arrivare, in quel modo al gran tunnel: il corridoio che punta al verso libero che altro non è che quell’endecasillabo che quando diventa sciolto, ormai, di libero verso si può già parlare.

Il nostro, infatti, cammina nel labirinto dove si è cacciato, ma è evidente che già ha intuito l’odore dell’uscita. Un Icaro, scovato in questo mare di poeti di rete, al quale ci permettiamo pensare aver dato una marcia in più con questa breve pubblicazione, silloge questa, articolata, di una poesia che seppur articolata anch’essa, già è ampiamente fruibile anche al lettore meno addentro, meno propenso, quasi riottoso. E proprio a questi ultimi tre che ci rivolgiamo, perché la poesia è la musa massima della scrittura, del pensiero e della buona parola dove basta, a volte, solo una onesta scrittura e tutto è già pronto per un’altrettanto buona, lettura.

 

Haiku

Nubi, tempesta

Il vento spazza via

Caldi bagliori

 

Samarcanda

Un giorno tetro e buio di anni fa

Io da solo, intorno a me nessuno;

Mi trascinavo mesto giù in città,

Quando un’ombra fece capolino.

Spaventato, entrai in un locale;

Per il fumo a stento si vedeva,

Dal gran caldo ci si sentiva male.

E in fondo era lei, ch’attendeva.

Riflettevo su nostra vita, ignari

Di ciò ch’abbiamo accanto, le persone,

Sentendoci preziosi e solitari,

Diamanti intrappolati in un castone.

Seduta li, scrutava sorridente;

Il suo sorriso non dava conforto.

Bella, fredda e calda, inquietante:

Comunque sia, sarà l’ultimo porto.

La guardo, invan ne cerco gli occhi

Mi trascino, le forze vengon meno;

Davanti a lei mi piego sui ginocchi

Se è destin, ch’ormai lo sia appieno.

Vedendo ogni fibra mia tremare,

Lei mi poggia un bacio sulla bocca.

Sconfitto, m’accascio al suo baciare.

Pace, oblio, rimpianto ora mi tocca.

 

Le note stonate

Le note stonate del mio cuore

L’odore esaltante del tuo ardore

Cancella.

Le cure grevi della mia vita

Il suono cristallino della tua risata

Annulla

Il segreto amor ci tiene uniti:

Sfidando spazio, tempo e segreti inconfessati.

 

Come nebbia

Come nebbia, che grava sulla sabbia, è la tua rabbia

All’improvviso,  sul tuo viso, un sorriso.

In ogni nuvola, come una favola, sei tu minuscola

Allor ti chiamo, ti bramo, ti amo

Di dolore urente, di ardor furente: non chiedo niente

Sol voglio darti, silenziosamente amarti, di me saziarti.

Tu provocante, sublime amante, nonostante

Tu ora complice, tu ora supplice, ora carnefice

Tu così morbida, la mente ispida, a volte  torbida

In te mia Dea, lasciva e rea, amor si bea

Alle tue porte, per me aperte, delizia e morte

Ma in te morire, poi rifiorire, ancor sbiadire

Rende la vita, mia preda ambita, degna d’esser vissuta.

 

Quel momento

Ho visto la sabbia nella clessidra

fermarsi librando a mezz’aria.

Ho visto il sole fissarsi nel cielo

Per guardarci sorridendo, intenerito.

Ho visto lampi e bagliori, udito tuoni,

Mentre il cielo, fuori, era sereno.

Ho annusato l’odore della tua passione,

E in essa mi sono smarrito.

Ho toccato la tua anima

coi miei occhi, ansioso di capire

Fino a quando, fino a quanto.

In quel momento sento i colori confondersi,

In quel momento mi  accarezzo toccandoti.

In quel momento il tempo si è fermato.

Ma quell’attimo infinito è ahimè passato.

 

Teatro d’autunno

Il sole pallido

Dopo un acquazzone

Disegna ombre lunghe

Sulla sabbia umida.

In lontananza stormi di gabbiani

Volano placidi ed indifferenti.

L’animo tetro

Dopo la lite

Erige funeree mura

Nel cuore ferito.

In lontananza stormi d’avvoltoi

Volano ed attendono che

L’amore muoia.

La luce e il calore delle tue labbra:

Come il lampo durante il temporale

Rischiara il buio, ma non dà conforto.

 

La calda luce

La calda luce del sole ci bagna;

impalpabile la vita sostiene.

Generosa ella ci accompagna,

senza ragione; niente ne ottiene.

 

La secca terra non ospita vita.

Se il fiume che pria la bagnava

fluendo veemente inaridita

ella rifiuta, se prima urlava

 

la gioia, poscia udirne è straziante

il silenzio, tetro, greve; il battito

dell’ali d’una farfalla morente;

come ogni morte, con un sol gemito.

 

Però, mia amata oscura Signora,

il ricordo, sbiadito, splende ancora.