Susan Moore

Susan Moore è nata a Milano a gennaio del 1963. La città è del tutto casuale: della madre Friulana ha conservato la ruvidità e del padre Pugliese tramanda la passionalità. Curiosa della potenza della parola, pigramente adagiata su una predisposizione naturale, si appassiona allo studio delle lingue straniere. Mentre progettava di girare il mondo, trentacinque anni fa si fermava, tanto prosaicamente quanto realisticamente, in un’azienda metalmeccanica. Recentemente si è riscoperta “penna attiva”.

Introduzione al libro, di Fabio Martini

La poesia di Susan Moore è come una falce che miete il grano. Non va tanto per il sottile. E quando passa passa. E quando passa, si porta dietro di tutto: dalla giustizia calpestata, alle ingiustizie e non solo terrene, ma anche, e specialmente, umane. Parla di se stessa ma anche di tutti coloro che diventano consapevoli della realtà di ciò che significhi vivere. Allora la musicalità di queste ballate senza musica, diventa il filo conduttore dei versi che si susseguono e tutto diventa lì, a portata di mano.

E lì, ci sono i passi lenti, i nottetempi, i pentimenti e ci sono i pensieri dall’apparir senza senso, ma che hanno tanto di quel senso da diventare cenere e scarto aspirato, di un piacere vorace e veloce e precoce e lo dice l’autrice stessa in una delle sue, qui raccolte. Più precoce di ognuno di noi, la poetessa si pone dietro ad un nom de plume che a Boston o Londra potrebbe essere un Mario Rossi qualunque, ma nonostante questa scelta, dimostra d’essere una personalità unica, in un’epoca dove tutti o quasi, tentan di poesia. Lei si porta dietro il suo bagaglio di latte arrugginite e pesi di una vita che sempre mette sul piatto, nonostante le carte non sempre fortunate,  e sono vite come le nostre di noi tutti d’altronde, gioie e dolori; il perduto, il dietro e l’irraggiungibile avanti.

Quasi una prosa in versi, dove ogni scorcio è un lato di un prisma plurisfacettato dei mali singoli di tutti noi. Doveroso quindi non coinvolgere nessun grande a questa riflessione, ma rimanere sul pezzo per tutta la lettura, cercando di scoprire dove voglia andare a parare, pur sapendo – che già sappiamo – come andranno a finire le cose.

Se poi qualcuno mi chiedesse a chi paragonerei la sua poesia, a volte nera, a volte grigia, di cui le tonalità si perdono lungo un tragitto spigoloso e irto di ostacoli che alla cromatizzazione diventerebbero pastello sull’antico andante – e quotidiano peso – della vita di tutti i giorni; ebbene, al di là delle parole che tanto non bastan mai, ribadirei di come questa silloge sia da leggersi lentamente, centellinando i fogli, i versi, in quei giorni lenti nell’attesa di un istante supremo, di cui ci parla l’artista, che nella poesia ha trovato l’espressione artistica più alta ma raggiungibile. Un buon regalo per i nostri giorni, una lettura per tutti forse, o almeno quasi tutti… noi.

TOCCASTI LE MANI

Toccasti le mani

e io mi presi il cuore.

Che colore avevi?

Io il rosso:

vinceva.

Quella sera

la primavera stanca

la gola usata

da libertà urlate.

Piccoli fiori degli anni ’70

Un bacio.

Un altro ancora.

Un rosso sciolto al mattino

senza saper chi ero

né il tuo nome

per intero.

 

VISITA INASPETTATA

Visita inaspettata

due cespugli di ortensie ai lati del cancello:

la tua casa,

l’unica che hai sentito tua davvero.

Due cespugli blu come il cobalto

tu dicevi blu come i miei occhi.

Eri orgogliosa di quel blu fine del mondo,

come la fine del mare.

Profondo.

Erano tue quelle ortensie,

come quella casa

lasciata,

tanto tu eri sempre presente.

Eri tra le ortensie questa sera

qui.

La tua presenza era forte come la tua assenza.

Un’abitudine che non mi riesce naturale.

Le tue ortensie non esistono più,

estirpate dal male che mi rode l’anima.

Lo conoscevi, ne avevi paura:

tu sapevi.

 

SAREMO SPACCIATI

Saremo spacciati sulla riva del fiume

sul marciapiede di casa

sui gradini di scuola

ci chiederanno silenzio

non sapremo che fare

come i gatti

non faremo rumore

 

EFFETTO MAREA

Effetto marea

acqua che scappa per chilometri di nulla.

Calpesti un fango molliccio,

cattura i piedi

sprofondi alle ginocchia

immobile

senza forze.

Pescavi cannolicchi

sulla sabbia di Rimini

soda e dura:

bassa marea dell’infanzia.

Mediterraneo amico.

Scultura nel vuoto è

il tuo corpo

ora.

Non agitare le mani

è un silenzio blu e giallo

devi riguadagnare la riva

con calma

 

HO DANZATO PER TE

Ho danzato per te

con scarpe impazzite

gambe irrequiete

ventre in attesa.

Ho danzato per te

sotto lune che non conosco

riflesse in campagne umide

di sudore e sapone

e gonne a ruota di festa.

Ho danzato per te

questa sera

immobile il corpo

sotto un suono di fisarmonica.

 

BOLLA D’ACQUA

Bolla d’acqua calda

calma

abbiamo nuotato come pesciolini ansiosi

al ricordo

il respiro ancora ci manca

 

SONO PICCOLA FIBRA

Sono piccola fibra

filo consunto di cotone d’oltre mare

di lino del Nilo

tessuto vissuto

frangia sfibrata

da troppo sapone

dall’odor di pulito

di una nuova ferita.

 

VETRO ROTTO

Vetro rotto

dal gatto sbadato.

giorni perduti

dagli occhi distratti

acqua persa

da vasi bucati.

I fiori della notte sono sempre vivi

la mente non è mai spenta:

lo vorrei,

lo voglio.

Ci vuole pace per rivedere il vetro,

il giorno,

il fiore nel vaso dall’acqua persa.

 

UN’IDEA DI STANCHEZZA

Le grandi occhiaie non sono sotto agli occhi

ma dietro

ben nascoste nello sguardo

giacciono pesanti

sui nervi

ti cambiano il volto

w diventi irriconoscibile

davanti allo specchio del mattino.

Giorno dopo giorno

le grandi occhiaie sono nella bocca

la bloccano.

Gonfiano la gola

non fanno uscire i suoni

ne uccidono la forza.

Le grandi occhiaie scavano dentro

fino alle viscere

e gonfiano e ribollono all’infinito.

No, non le vedi le grandi occhiaie

da fuori

puoi provare nelle mani:

stringile forte, prova a sentirle.