UN PO’ DI STORIA

Affinché si affronti questa particolare forma di poesia orientale con il dovuto rispetto, mi permetto di ricordare che la stessa rappresenta il modo più elevato di esprimersi poeticamente del popolo Giapponese.

La si trova, non ancora affrancata in tale forma, a partire dall’VIII secolo, nella Waka, poi identificato con il termine Tanka (5-7-5-7-7), di cui abbiamo già avuto modo di parlare, e nella Renga (Lett. Poesia legata) che era una particolare forma di poesia a catena, a cui partecipavano più autori, nata come passatempo di poeti di corte nel periodo Heian (794-1185), che era un susseguirsi di Tanka. La parte più importante di questa costruzione erano i primi tre versi o Ku (5-7-5), chiamata Hokku o strofa di apertura che conteneva un riferimento stagionale. Nel XIII secolo già molti poeti cominciarono a considerare la strofa di apertura di un renga come un qualcosa di a sé stante, qualcosa di compiuto definendola Haikai no hokku, a prescindere dal contesto poetico nel quale veniva usato, termine poi che venne contratto in Haikai, per poi diventare nel XIX secolo.

 

 

“HAIKU” parte prima

L’haiku è formato da diciassette sillabe, suddivise in tre versi, rispettivamente composti da: 5 – 7 – 5 sillabe (on)
Ciò deriva dal concetto che ogni emozione è un indivisibile e perfetto insieme che può essere espresso da poche, significative parole.

A Tale proposito vale fare una precisazione:

l’haiku quando è approdato nel mondo occidentale è stato adattato alle varie esigenze grammaticali e fonetiche delle varie lingue. Ad esempio nei paesi Anglofoni si è verificato un progressivo allontanamento dallo schema 5-7-5 in favore di un più vario modello sillabico. Ciò perché una sillaba inglese è spesso più lunga di un “On” giapponese, ma ha una maggiore libertà grammaticale.

In Italia, l’autore è libero di seguire nel conteggio delle sillabe sia quello “ortografico” sia quello “metrico”. Ecco perché in precedenza vi sono state proposte le poche figure metriche necessarie a comporre lo Haiku metricamente. Una mia opinione personale è che sia il ricorso al sistema ortografico che a quello metrico, non permettono un adattamento fedele ai canoni della lingua giapponese; ma sempre a mio parere il sistema metrico pur discostandosi a volte dal numero di sillabe grammaticali (5-7-5) non perde la lunghezza fonetica che nel Giapponese tra la lingua scritta e quella parlata è sempre assicurato.

Per esperienza e avendo letto molti testi di Haijin Italiani ho quasi sempre visto privilegiare quello metrico.

§§§

Qui di seguite un riassunto delle regole basilari al fine di comporre lo Haiku metricamente:

-REGOLE METRICHE –

-COSA È L’ACCENTO TONICO: nelle parole l’accento tonico indica la sillaba su cui la voce si appoggia con maggior intensità. Normalmente l’accento tonico non viene indicato graficamente perché è un elemento del linguaggio orale, ma viene riportato dai Dizionari per suggerire la corretta pronuncia.
Favola- [fà-vo-la].

Per semplicità in questa sede vi enuncio che cosa è un accento obbligatorio:

L’ACCENTO OBBLIGATORIO: che è quello che definisce metricamente il verso è quello che cade sempre sulla penultima sillaba del verso stesso.

Le parole italiane, in base alla posizione in cui si trova l’accento tonico, si classificano in:
PAROLE PIANE: hanno l’accento sulla penultima sillaba e sono le più numerose nel vocabolario italiano. Si tratta di parole come:
càsa–lìbro–piède–giornàle–marìto–patàta etc.

PAROLE SDRUCCIOLE: hanno l’accento sulla terzultima sillaba. Dopo le piane sono le più frequenti in italiano.
pàllido-sàndalo-zùcchero-antipàtico-sistemàtico-imbevìbile etc

PAROLE TRONCHE: hanno l’accento sull’ultima sillaba e sono quelle che devono segnalare l’accento anche graficamente
caffè-città – virtù – gioventù-lunedì-maturità-università etc
Ma in questa categoria entrano anche tutte le parole che vengono troncate o apocopate:
Es: Ve – dran – no… apocopata in…Ve – dran
oppure:
Bel – lo …apocopato in Bel
Cie – lo …. apocopato in ciel
NB: Per vedere come è sillabata una parola basta avere un buon Dizionario, anche online, che fornirà la suddivisione in sillabe della parola cercata e anche dove cade l’accento tonico.
Bisogna quindi sempre controllare dove cade l’accento tonico della parola alla fine del verso, perchè in base a questo il verso si definirà a sua volta verso piano, sdrucciolo o tronco.
Perché è importante? Perché metricamente le sillabe si contano in maniera diversa da quella che ci hanno insegnato a scuola, che è la sillabazione grammaticale.
Ciò che a noi interessano sono sempre i versi -PIANI- e in questa sede in particolare i:
QUINARI- cinque sillabe grammaticali – accento tonico obbligatorio sulla 4° sillaba.
e i:
SETTENARI- sette sillabe grammaticali – accento tonico obbligatorio sulla 6° sillaba.
Quindi un QUINARIO o un SETTENARIO PIANO – sono quelli che anche grammaticalmente sono di cinque o sette sillabe, e l’accento tonico obbligatorio sarà sempre sulla 6° sillaba.

Gli altri tipi di verso, cioè i TRONCHI o gli SDRUCCIOLI, (vedi sopra) si misurano sempre sui versi PIANI e purchè abbiano l’accento tonico obbligatorio che cade sulla 4a e 6a sillaba; i TRONCHI, saranno metricamente conteggiati come se avessero una sillaba in più e gli SDRUCCIOLI, come se avessero una sillaba in meno.
Per non appesantire troppo l’argomento vi porto in esempio tre settenari:
Il | re | gno | del| la| mòr | te
Settenario PIANO, grammaticalmente di 7 sillabe accento tonico sulla 6° sillaba.

Fre| quen| te| vo| le| rò
Settenario TRONCO, grammaticalmente di 6 sillabe, accento tonico sulla 6a sillaba, metricamente si conteggia una sillaba in più.

Fra| le| de| vo| te| vér| gi| ni
Settenario SDRUCCIOLO, grammaticalmente di 8 sillabe, accento tonico sulla 6a sillaba, metricamente si conteggia una sillaba in meno.
Ecco quanto sopra detto riunito in una strofa della ” Vita Rustica ” del Parini dove i versi sono tutti settenari e l’accento tonico cade per tutti sulla sesta sillaba tonica evidenziata in rosso. (^) è la sinalefe che vediamo  qui di seguito.

Ve la scrivo così come è poi ve la sillabo:

Me non nato a percotere
Le dure illustri porte
Nudo accorrà ma libero
Il regno della morte
No: ricchezze nè onore
Con frode o con viltà
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà

Me| non| na |to^a| per |cò|te| re…..Sdrucciolo
Le | du | re^il| lu |stri |pòr|te………..Piano
Nu |do^ac| cor | rà| ma| lì |be| ro….Sdrucciolo
Il | re| gno | del | la – |mòr |te………..Piano
No:|ric |chez| ze |ne^o |nò|re………..Piano
Con | fro| de^o|con |vil| tà……………Tronco
Il | se | col| ven | di | tò |re…………….Piano
Mer| car |non | mi | ve |drà……………Tronco

Faccio notare che all’interno di questi versi ci sono alcune sillabe unite da una ^, segno grafico che uso solo per evidenziare che in quel punto è stata applicata una SINALEFE, che vedremo qui di seguito. Come potete verificare gli accenti obbligatori di tutti i versi di cui sopra cadono sulla 6° sillaba, e per questo sono tutti settenari.

Questa regola metrica vale anche per i quinari e per tutti gli altri tipi di verso fino agli endecasillabi.

VEDIAMO COSA PUÒ SUCCEDERE ALL’INTERNO DEL VERSO:

LA SINALEFE
Per vostra evidenza la indicherò con il segno grafico (^) ma nella stesura del verso non deve essere indicato, sarà il lettore, che, se vorrà controllare se il verso è metricamente corretto, lo dedurrà.
È il termine tecnico (figura metrica) per indicare genericamente il fenomeno della fusione di due sillabe consecutive che diventano una sola sillaba. Avviene quando, all’interno di un verso una parola termina per vocale e la parola successiva inizia per vocale.
Potremmo chiamarla anche Crasi, ma noi per comodità la chiameremo sempre SINALEFE che è, delle regole da tenere in mente, sicuramente la più importante e quella che più spesso ci capiterà.
Esempio:
La casa amica
la – ca – sa – a – mi – ca
conteggiandolo grammaticalmente, il verso risulta di 6 sillabe
ma la parola “casa” termina per vocale e la parola “amica” inizia per vocale. Le due sillabe, per effetto della sinalefe si fondono in una sola sillaba, riducendo il verso a 5 sillabe:
la – ca – sa^a – mi – ca 5 sillabe metriche.
Importante ricordare che:
la sinalefe coinvolge anche vocali appartenenti a due parole separate da una virgola o da altra punteggiatura e vocali atone con vocali toniche (cioè, rispettivamente, con o senza accento tonico) e anche più vocali contigue e può essere usata più volte all’interno dello stesso verso ed è la figura metrica che io consiglio in assoluto.
Esempio:
Amare e ancora amare
A – ma – re^e^an – co- ra^a- ma – re

LA DIALEFE
(dal greco dialéipho, “separo”), è una figura metrica che consiste nel tenere distinte, nel computo delle sillabe, due vocali, di cui una alla fine di una parola e una all’inizio della successiva (la dialefe è dunque il contrario della sinalefe). Si applica spesso in presenza di monosillabi o di sillabe fortemente accentate.
Non avrei voluto nemmeno parlarvene, perché io ritengo che preferibilmente si debba usare sempre la sinalefe, perché da Petrarca in poi, che la usò talvolta, e anche in casi differenti, la dialefe viene messa da parte e sentita come un tecnicismo arcaico, da utilizzare solo in casi speciali.
E questi casi speciali io li ridurrei solo quando entrambe le vocali, sia quella finale che quella iniziale, sono toniche, cioè: o hanno entrambe l’accento tonico che le caratterizza o sono entrambe veramente accentate…vedi:
È/or commesso il nostro capo Roma (Petrarca) È ha l’accento a tutti gli effetti ed Or invece ( che deriva dalla apocope di ora ) è accentata tonicamente.

VEDIAMO COSA PUÒ SUCCEDERE ALLA FINE E ALL’INIZIO DI UN VERSO.

Introduco prima il concetto di VERSO IPERMETRO: un verso ipermetro è un verso che rispetto a quello che è nostra intenzione scrivere ha una sillaba in più; che magari ci è difficile ridurre senza modificarne il significato; questa precisazione ci servirà per capire meglio le sottostanti due figure metriche.

LA ANASINALEFE
La sillaba con cui inizia un verso ipèrmetro viene assorbita, formando sinalefe, dalla sillaba finale del verso precedente. In questo caso il verso che prima era ipèrmetro ora non lo è più. Consideriamo i seguenti versi che potrebbero essere il secondo e il terzo di un haiku:

Mil| le| co| se| la| se| ra – 7 sillabe grammaticali
an| co| ra| da| fa | re – 6 sillabe grammaticali = verso IPERMETRO

Come ovviare senza cambiare il secondo verso, applichiamo fra i due versi l’anasinalefe, per cui l’ultima sillaba della parola “se–ra” forma anasinalefe con la sillaba iniziale del verso successivo, (an–co–ra), e a sé l’assimila, togliendola al conteggio dell’ultimo verso; che risulta così rientrante nella regola per cui quello che era già di sette sillabe rimane di sette sillabe, mentre il successivo si può ora conteggiare in 5 sillabe.
È un concetto più difficile da assimilare, che non da applicare, vediamo come: ve la indico graficamente sempre con il segno grafico (^) ma che nella stesura dei versi, come già detto in precedenza non deve apparire. Lo dedurrà il lettore.

mil | le | co | se | la | se | ra^an –
questo verso rimane di 7 sillabe metriche

co-ra-da-fa-re –
quest’ultimo diventa di 5 sillabe metriche.

LA EPISINALEFE
La sillaba finale di un verso ipèrmetro si fonde con la sillaba iniziale del verso successivo, e da questa si fa inglobare. Il verso che prima risultava ipèrmetro ora verrà conteggiato con una sillaba in meno.

un canto qui
mille farfalle piccole
alzano al cielo

Conteggiamo i tre versi grammaticalmente:

un | can | to | qui 4 sillabe grammaticali, ma il verso è tronco quindi si conteggia una sillaba in più ed è a tutti gli effetti un quinario.

Mil| le| far | fal | le | pic| co | le – 8 sillabe grammaticali = verso ipermetro
al | za | no^al | cie | lo – 5 sillabe metriche per effetto della sinalefe.
Quindi il primo e il terzo sono metricamente a posto essendo entrambe due quinari, come sistemare invece il verso ipermetro? Poiché finisce con una vocale e quello successivo inizia con una vocale possiamo applicare l’episinale così:

mil | le | pic | co | le | far |fa – ora di 7 sillabe metriche
le^al | za | no^al | cie | lo – che rimane di cinque sillabe metriche.

È esattamente il contrario della Anasinalefe…

IMPORTANTE PRECISAZIONE:
Per non fare qui di seguito un trattato sulla sillabazione, sui dittonghi – iato – dieresi e sineresi, vi fornisco una semplice regoletta alla quale se vi ci atterrete sarete sempre nel giusto:
Nella composizione di Haiku, Tanka e in genere di poesie che hanno una piccola quantità di sillabe a disposizione, la regola è quella di considerare possibile, all’interno del verso, in presenza di parole bisillabiche come mio, tuo, suo, due, lui, via, dio, dia, zio, zia, pio, pia, bio, bue, bua, lia, brio, trio, etc, la divisione in sillabe in due modi diversi, a seconda delle necessità del verso.

ESEMPIO:
1)
“nella mia casa” può essere conteggiato:
nel-la-mì-a-ca-sa 6 sillabe
2)
nel-la-mia-ca-sa 5 sillabe
Per non cadere in errore e se proprio non se ne può fare a meno io consiglierei di applicare sempre l’esempio 2, cioè considerare mio un’unica sillaba all’interno del verso …Così non si sbaglia mai

NB: Se invece l’aggettivo “mio o mia “ o altre parole bisillabiche, fossero a fine verso:
il verso avrebbe inderogabilmente 6 sillabe
nel-la-ca-sa-mì-a

NB: Per chi volesse approfondire in maniera più esaustiva l’argomento “METRICA” consiglio di visitare l’altra stanza di questo Blog dal titolo “PRINCIPI DI METRICA NELLA POESIA ITALIANA”

§§§

L’HAIKU È POESIA DI CONCENTRAZIONE.

L’Haiku è un componimento dell’anima. È come un attimo di vita che diventa verso.
In Giappone affermano che sia un vero e proprio “Poema”.
Particolare, nella costruzione dell’Haiku, è la “separazione” e la mancanza di collegamenti logici tra i versi al fine di creare pause. Soggetto dell’haiku sono infatti scene rapide e intense che rappresentano in genere la natura e le emozioni che esse lasciano nell’animo dell’haijin (il poeta, o persona haiku).
La mancanza del soggetto, degli articoli e dei nessi evidenti tra i versi rendono ancora più intima e criptica la composizione, lasciando spazio a un vuoto ricco di suggestioni e di immaginazione.

 

TRADIZIONALMENTE L’HAIKU È PRIVO DI TITOLO.

Per comprendere il senso degli Haiku è necessario entrare nella cultura del popolo che ha inventato l’haiku e nello spirito Zen, per cui l’uomo si realizza appieno solo integrandosi con l’ambiente in cui è inserito, per quanto ostile questo possa apparire. Il poeta non deve descrivere ciò che vede, ma essere, in quel momento, ciò che descrive. È dunque una poesia di meditazione e di introspezione.

La caratteristica fondamentale dell’Haiku classico è quella di fare riferimento a una delle quattro stagioni, riferimento che è chiamato “kigo” e che è la principale chiave di lettura.

 

“HAIKU” parte seconda

Inizio questa seconda parte con qualche haiku,

così per ristorarci un po’ l’anima:

 

Kato Shuson

sono abbaglianti

per l’occhio malato-

rose invernali

 

Andrea Cecon

vento di autunno,

su strade cittadine

porta il viandante

 

Fabrizio Frosini

sera quieta-

sussurri dalle stelle

non tarderanno

 

Luca Cenisi

convalescenza:

sulle dita il profumo

dei mandarini

 

Alberto Baroni

rosso tramonto

tinge il verde del lago-

e la papera

 

Approfondiamo ora il concetto del

RIFERIMENTO STAGIONALE

Un haiku deve contenere un richiamo, diretto o mediato, al suo periodo di stesura o tempo della composizione. Più in particolare, dev’essere presente il riferimento a una delle quattro stagioni: Primavera, Estate, Autunno Inverno.
Il riferimento stagionale può presentarsi come “tema stagionale”- KIDAI o come “termine/parola stagionale”- KIGO

Il KIDAI è quell’espressione o quel termine che delinea il contesto naturalistico-temporale dello scritto (Es: la raccolta delle mele –Ciliegi in Fiore – Vento Grecale – Campo dorato ) suscettibile di ulteriore precisazione ad opera di termini o locuzioni più specifici (come “ mela matura “ ciliegia rossa. etc.) che comunque richiamano ad una stagione perché ciò che viene descritto può appartenere solo a quella specifica stagione dell’anno.

Il KIGO è invece, quel termine o quella locuzione che identifica con un alto grado di specificità, un dato periodo dell’anno ( Es. Vento Autunnale – Gelo invernale, Afa Estiva, Erba di Primavera ) dove il riferimento alle quattro stagioni è palese.
Il riferimento stagionale, era generalmente collocato all’interno del primo o del terzo verso dello scritto. Nei secoli tale regola ha finito con il cedere il passo ad un suo uso più libero, sicché è possibile collocarlo nel verso che si preferisce.
Quindi nessuna restrizione all’uso o del Kigo o del Kidai, l’importante che ci sia il richiamo alla stagionalità.

In mancanza del Kigo o del Kidai è accettato, ma non da tutte le scuole, anche il Piccolo Kigo cioè il riferimento ad una specifica fase della giornata: Aurora – Alba – Mezzogiorno – Tramonto – Imbrunire – Notte – Notte fonda – Stelle – Luna – Quarto di Luna – Luna piena – etc…senza però dare a queste specifiche fasi della giornata delle aggettivazioni personalizzate ed emotive quali ad esempio: Danza la notte – Notte di pece – Notte quieta – Sole triste – Giorno dormiente, Sole annoiato etc…

NB: Di regola lo haiku accoglie al suo interno un solo riferimento stagionale, può capitare però che nel comporlo vengano utilizzati due termini, che portano entrambi all’identificazione della stagionalità. Ecco che in questo caso, peraltro raro, si deve prestare molta attenzione affinchè i due riferimenti stagionali si armonizzino tra loro, cioè rimandino allo stesso periodo stagionale e non a periodi dell’anno diversi, onde evitare di sovrapporre riferimenti stagionali antitetici che, anziché arricchire lo scritto, ne minano irreversibilmente il pregio.

IL KIREJI

Uno haiku, per tradizione, deve prevedere, all’interno della propria struttura, uno “stacco” (kire) o cesura atto a dividere l’opera in due emistichi giustapposti. Tale stacco viene formalizzato dall’utilizzo di determinati parole

(kireji) che, collocate in chiusura di verso o al suo interno, “spezzano” il flusso di pensiero del lettore, stimolandolo a ricercare il collegamento tra le due parti dell’opera così createsi.
Data l’assenza di un corrispondente occidentale ai kireji, è ormai prassi comune adottare in loro vece i segni d’interpunzione (virgola, punto, due punti, trattino, ecc.).
La Scuola Haiku Yomichi ritiene ammissibile l’uso dei segni interpuntivi, in quanto propri del nostro patrimonio linguistico, e vi preciso che gli stessi non costituiscono sillaba – Non si condivide invece la prassi di segnare il kireji mediante l’uso della maiuscola all’inizio del verso successivo, anche qualora il rigo precedente non si concluda con il punto.
NOTA: nella tradizione, il “taglio” o Kireji deve comparire, di regola, al termine del primo o del secondo verso, così da consentire al verso finale di presentare un’immagine associativa, comparativa o di contrasto.

IL NON-DIRE

Un buon haiku dev’essere capace di esprimere un messaggio profondo attraverso il minor numero possibile di parole dettaglianti. Nella pratica poetica, essa si manifesta attraverso un uso sporadico di pronomi personali, avverbi e aggettivi, nonché mediante l’impiego di un lessico semplice, immediato e non artificioso. Usando le parole di Seki Ōsuga si può dire che: “noi siamo in grado di comprendere il mondo della creazione solo quando siamo sinceri e umili nei confronti della natura, quando siamo liberi da ogni paura, quando annulliamo ogni distanza tra noi e la natura stessa, quando non ci abbandoniamo a inutili fantasie o non cadiamo in intellettualismi di sorta.

L’ANNULLAMENTO DELL’IO

Uno haiku deve essere in grado di produrre una sorta di “annullamento dell’io” del suo autore, ovvero reprimere, pur nel rispetto del “qui e ora”, ogni richiamo diretto alla persona dello haijin (poeta–persona haiku), ogni sua declinazione caratteriale che possa adombrare lo spirito dello haiku.

Prendendo in prestito le parole del semiologo Roland Barthes, si può dire che: “il tempo dello haiku è senza soggetto: la lettura non ha altro ‘io’ se non la totalità dell’haiku di cui questo ‘io’, per una rifrazione all’infinito, non è che il luogo di lettura”.

Lo haiku stesso, d’altro canto, presuppone un’esperienza sensoriale immediata della natura (i cui tre elementi caratteristici, ossia il “DOVE”, il “COSA” e il “QUANDO” si fondono armoniosamente nell’estetica del “FŪRYŪ”, laddove “la differenza tra soggetto e oggetto è “trascesa” poiché non vi è né un soggetto percipiente, né un oggetto percepito, ma la loro relazione”

Ma qui andiamo già oltre a quello che può essere definito nozione e si entra in una dimensione filosofica che approfondiremo nella parte IV “L’Estetica degli Haiku”.

In parole povere: evitate Haiku autoreferenziali.

 

Un breve accenno sul fūryū 
(letteralmente: il vento che scorre – lo spirito poetico)

Il fūryū rappresenta il cammino di ricerca, al contempo poetica ed esistenziale, che procede per successivi gradi di affinamento, ’Haiku stesso ne è permeato. Lo stato d’animo si trasmette al lettore che si ritrova immerso in esso come in un liquido amniotico. Molti sono gli stati d’animo che possono trovarsi nell’Haiku.

Possono essere presenti contemporaneamente, o singolarmente. Le sfumature sono molteplici, il confine fra uno e l’altro spesso impercettibile, che si identificano:

nel rizoku (distacco, romitaggio), nel tanbi ( immersione estetica) e nello shizen (natura).

 

ALTRI ESEMPI DI HAIKU:

 

Elisabetta Borroni

tetto cadente-

rischiara il fienile

luna gelida

 

Arashisei

zolle riverse-

a cantarne l’elogio

soltanto un corvo

 

Zen Ko Syshiro

fuori l’inverno-

la condensa sui vetri

disegna fiori

 

Alberto Baroni

tutto è silenzio

solo una rana gracida-

afa insistente

 

Luca Cenisi

ali bagnate-

sul nido di rondine

l’ultimo autunno

“HAIKU” parte terza

CHE COSA PUÒ RIGUARDARE QUINDI UN HAIKU:

  • un’attività umana
  • un gioco
  • una via verso la contemplazione
  • uno spazio di libertà della nostra mente
  • un terzo occhio
  • strumento che fa assurgere le cose piccole, apparentemente insignificanti, alla condizione di poesia e di bellezza.
  • un luogo di esplorazione e quindi di avventura.
  • una pratica semplice di ritualità.
  • uno strumento di condivisione.

 

VEDIAMO ORA COSA NON DEVE ESSERE:

  • Non è una definizione
  • Non è un insegnamento morale
  • Non è un pensiero filosofico
  • Non è una immagine astratta
  • Non è un gioco di parole
  • Non è un gioco di rime
  • Non è un aforisma
  • Non è una massima
  • Non è una sentenza
  • Non è un proverbio
  • Non è un pensiero
  • Non è un’idea

CHE COSA RIFIUTA GENERALMENTE L’HAIKU?

IL GIUDICARE – Ritenere, considerare, reputare, stimare – sottoporre a giudizio, sia di natura morale o estetica, valutare:
LA POMPOSITÀ – L’ ampollosità, la magniloquenza espressiva .
L’IPERBOLEFigura retorica che consiste nell’esagerare o ridurre, oltre i limiti normali, la qualità di una persona, animale, cosa o un’idea.
LA PERSONIFICAZIONE – Figura retorica che consiste nell’attribuire a cose e ad animali azioni o sentimenti umani.
LA PROSOPOPEA – Figura retorica – Simile alla personificazione consiste nell’attribuire prerogative umane a cose o a concetti inanimati o astratti, facendoli parlare o rivolgendo loro la parola.
L’ORPELLO – Ciò che è pura apparenza, esteriorità, lustro, finzione, anche, artificio retorico, abbellimento letterario
IL COMPIACIMENTO- -Senso di soddisfazione, intimo piacere, compiacenza, soddisfazione ostentata quanto infondata.
L’AUTOREFERENZIALITÀ- La tendenza a parlare ed agire riferendosi solo alla propria persona.
L’INTERLOCUZIONE- Esprimere a parole il prendere parte a un dialogo, a una discussione.
LA RIMA – Non credo che questo termine vada spiegato.
LA METAFORA- Figura retorica che si ottiene sostituendo un termine con una frase figurata legata a quel termine da un rapporto di somiglianza, ad esempio: Stanno distruggendo i polmoni del mondo, in cui “i polmoni del mondo” sta per “boschi”.
LA SIMILITUDINE- figura retorica consistente in un paragone istituito tra immagini, cose, persone e situazioni, attraverso la mediazione di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, simile a, a somiglianza di). Es. È furbo come una volpe.
L’APOCOPE: che riguarda una parola che può essere accorciata nella sua parte finale. – Esempio: Andare = Andar.

Perché lo scopo dell’haiku non è “stupire” con metafore bizzarre o ardite.

NB: Ecco cosa dice a tale proposito Luca Cenisi, colui che io considero il massimo esponente della poetica HAIKU ed a suo tempo presidente della Associazione Italiana Haiku:

Possiamo dire che, nello haiku classico, le figure retoriche trovano poco spazio. D’altro canto, essendo artifici del discorso finalizzati a produrre un dato effetto, esse contrastano con l’adozione di un linguaggio semplice, diretto ed immediato; in tali contesti, più che ricorrere a “figure di contenuto” o “di parola” come la metafora, l’iperbole o l’allegoria, il poeta deve saper utilizzare sapientemente la giustapposizione (toriawase 取り合わせ) tra immagini – che in sé permette di evocare suggestioni molto ampie e complesse – ed appoggiarsi a quella “riduzione espressiva” data dalla brevità dello scritto che non significa sinteticità o privazione, quanto piuttosto apertura ad una molteplicità di letture ed interpretazioni.

Altre figure, come quelle fonetiche o di suono, l’enjambment, l’allitterazione e l’anafora, possono invece essere presenti nel testo, purché non se ne abusi e derivino da una composizione spontanea e non elaborata “a tavolino” (penso in particolare alle ultime due, posto che, personalmente, non amo l’inarcatura).
Ricordiamo, comunque, che nei gendai haiku 現代俳句 o ‘haiku moderni’ il discorso è più complesso. Data la loro apertura ad un registro espressivo più libero ed immaginifico, capace di aprirsi ad istanze appartenenti a correnti di varia natura, non è assolutamente raro imbattersi in figure retoriche.
Kakio Tomizawa (1902-1962), esponente di rilievo dello shinkō haiku undō 新興俳句運動 o ‘Nuovo haiku emergente’, infatti, influenzato dal simbolismo e dallo sperimentalismo artistico occidentale, introdusse nei suoi scritti elementi quali la metafora, l’analogia e l’astrazione, e come lui diversi altri poeti della sua epoca ed autori a noi contemporanei.

 Riepilogando:

  • Nel testo dell’Haiku meglio se non trovano posto pronomi o aggettivi come : io, tu, te, mi, mio miei – o tutto ciò che può indicare la persona fisica dell’autore, né una sua azione od emozione.
  • Meglio se non trovano posto aggettivi come: triste, innamorato, stupito, perplesso etc. che indicano la presenza di un soggetto che prova emozione.
  • Meglio se non si usano verbi che nella loro coniugazione alla prima persona presente esprimono emozioni come: io amo, io ricordo, mi commuovo, mi stupisco; né che esprimano azioni come io abbraccio, io apro, io odo, io contemplo.
  • Come meglio evitare aggettivi superflui o pleonasmi, come: caldo, infinito oscuro, quando si riferiscono a oggetti o fenomeni che lo sono già per loro natura.
  • Nell’Haiku i versi debbono essere essenziali, quindi dire: Sole caldo vuol dire raddoppiare le parole necessarie e quindi dimezzare la capacità figurativa del verso.
  • Non c’è posto per avverbi come: eternamente, per sempre, mai, o per concetti come eternità, bellezza, perché sono elementi astratti, introdotti dalla mente dell’autore, quindi una intrusione indebita.-
  • I consigli di cui sopra, come potete notare sono sempre preceduti dall’aggettivo ” Meglio” perchè  vi sono comunque eccezioni  anche illustri che li derogano, quindi tali linee rappresentano una guida generale alla composizione che va pur sempre interiorizzata e valorizzata con una certa flessibilità.
    Lo Haiku è tanto più bello quanto più è semplice e pulito. Intendendo per “pulito” anche il fatto di non avere particelle grammaticali al fondo dei singoli versi (articoli, preposizioni, congiunzioni…)

Ribadiamo di nuovo alcuni concetti:

LO HAIKU

  • è concentrazione
  • è un vero e proprio poema racchiuso in diciassette sillabe metriche
  • è pura concretezza
  • è una poesia di “cose” di “fatti”. È nuda realtà, semplice realtà
  • L’Haiku non è un mezzo, ma il fine. Non è parte del poema, è il poema in sé.
  • L’Haiku evidenzia, nella sua semplicità ed essenzialità, un particolare realmente vissuto e visto.

 

HAIKU da LEGGERE:

Pasquale Asprea

passo montano-

il tramonto ricopre

la prima neve

 

Maurizio Petruccioli

il mercatino-

nella nebbia confuse

cose e ricordi

 

Carlo Bramanti

a perdifiato-

la cicala sul ramo

prepara il giorno

 

Antonio Mangiameli

fiore d’arancio-

il viso sorridente

di una ragazza

 

Alberto Baroni

sulla corteccia

di un mandarino in fiore-

segni d’amore

 

Angiola Inglese

notte di stelle-

sul viola dell’ibisco

la prima lucciola

 

Salvatore Cutrupi

sale di tono

per coprire il silenzio

un usignolo

 

“HAIKU” parte quarta 

L’ESTETICA DELLO HAIKU:

Il FŪRYŪ – (Letteralmente: il vento che scorre – lo spirito poetico)Il fūryū rappresenta “ il cammino” di ricerca,  al contempo poetica ed esistenziale, che procede per successivi gradi di affinamento, l’Haiku stesso ne è permeato. Lo stato d’animo si trasmette al lettore che si ritrova immerso in esso come in un liquido amniotico. Molti sono gli stati d’animo che possono trovarsi nell’Haiku. Possono essere presenti contemporaneamente, o singolarmente. Le sfumature sono molteplici, e il confine fra i vari stati d’animo è a volte impercettibile.

Le fondamenta sulle quali si basa questo cammino di ricerca sono:

IL RIZOKU (“distacco”, “romitaggio”),

IL TANBI (“immersione estetica”)

LO SHIZEN (“la natura”)

 

Il rizoku: rappresenta l’allontanamento dell’individuo-poeta da tutto ciò che è mondano, superficiale e “vacuo”. In questa fase, lo haijin acquisisce una certa sobrietà nei suoi atteggiamenti e opera una più intima conoscenza di sé.

Il tanbi: è il successivo sviluppo del senso estetico da parte del poeta, conseguibile solo attraverso una sua totale fusione con la realtà circostante ed una sua attenta e sincera osservazione.

Lo shizen: che in un certo senso già “racchiude” i due precedenti gradi di maturazione personale, dà loro compimento, confermando la reciproca interdipendenza fra natura ed arte, le quali concorrono al medesimo fine, ovverosia l’armoniosa riscoperta del sé come presupposto dell’illuminazione (satori). Dunque, un buon haiku dev’essere lo specchio del cammino intrapreso dallo haijin attraverso le tre “fasi” (rizoku,tanbi, shizen ) che sorreggono l’esperienza del fūryū  ,

Dalla esperienza estetica ed artistica che l’HAIJIN compie durante il percorso di cui sopra, derivano una serie di altre forme estetiche, alcune delle quali sono qui di seguito illustrate:

il sabi Il silenzio – È il sentimento di grande solitudine, di grande quiete, pace, illimitata calma; il sentimento del distacco, del non possesso. Ma non c’è tristezza in esso, solo contemplazione, solitudine, così grande e avvolgente da avere la sensazione che la cosa contemplata e il contemplatore siano la stessa cosa.

il ladro
ha lasciato la luna
alla finestra

lo hosomi – è il sentimento della delicatezza, della visione fine, sottile, delicata, acuta, affettuosa, sentimentale, ovvero quella “sottigliezza” contemplativa indispensabile per cogliere l’essenza veridica della realtà.

accostati al bar-
si baciano manici
curvi di ombrelli
l’ogosoka  – o “solennità” dell’esperienza sensibile, è il sentimento del maestoso, del severo, dell’immane, del grandioso

tranquillità-
il verso d’una cicala
penetra nella roccia

Matsuo Basho

lo wabi L’inatteso, il risveglio dell’attenzione
È quello stato d’animo prodotto da un qualcosa che si profila alla nostra coscienza all’improvviso. È l’elemento che ci sveglia dalla tristezza, dal grigiore, dai momenti in cui sembra che la vita non abbia nessun senso. Ecco, nel momento in cui questa depressione ci invade, nel momento in cui questa grande malinconia ci assale, nel momento in cui nulla ha significato e tutto appare banale e triste e assurdamente lontano… ecco profilarsi un qualcosa di inaspettato che si fa “guardare” con spiccata intensità. Desta la nostra attenzione. E noi lo “riconosciamo” nella sua interezza e universalità. Quel piccolo evento allora si fa grande e luminoso improvvisamente ai nostri occhi. Ci riporta alla vita.

sotto i miei passi
solo il fruscìo si sente
di foglie secche

Hisajo

lo shiori L’ombra: è il sentimento delle cose ombrose, della morte, del freddo, dell’immobilità, del rorido, dell’umido che trasuda umori. il fascino che dai versi s’irradia verso il lettore, andando oltre la mera parola scritta, avvolgendo ogni cosa in un vago e indistinto alone di compassione ed “empatia”

gli amici interrano
fra i cipressi l’ombra
di una fontana

lo yūgen (“profondità e mistero”), la bellezza vivida, sottile e profonda di ciò che, indistinto, procede oltre la comprensione mentale; è il sentimento del mistero, della bellezza indecifrabile che avvolge le cose, anche le più piccole, è l’energia del mondo che palpita ovunque, è la meraviglia, lo stupore, lo splendore delle cose, è la sensazione dell’universale, della magia e complessità della vita. È un po’ come il “Grande Spirito”, il “Wakan-Tanka” (Grande Mistero) degli Indiani d’America, presente in ogni cosa.

fra le erbe
un fiore bianco sboccia.
ignoto il suo nome.

il karumi – (“leggerezza”), la bellezza poetica riflessa nella sua semplicità, libera da preconcetti – è il sentimento della leggerezza e dell’innocenza, è il piccolo sorriso, la piccola ironia, il piccolo umorismo, la visione leggera, fanciullesca, libera dal peso della cultura e della tecnica.

bimbe sedute
sullo scivolo vanno
coricandosi

Già questi dettami estetici – filosofici di cui agli esempi, sono, se interpretati con la giusta enfasi, di grande aiuto nella composizione dell’Haiku; ma di seguito vi fornirò anche degli indirizzi compositivi o metodi tratti da un saggio di Jane Reichhold, che se letti/studiati con attenzione vi metteranno in grado di comporre dei bellissimi HAIKU in breve tempo.

Parlando invece di tecniche di redazione stilistica vere e proprie nell’Haiku ne esistono due, e a seconda del numero di concetti o immagini che vengono sviluppati nel componimento, si distinguono in:

NB: alcuni degli esempi di Haiku che seguono non rispettano la sillabazione 5-7-5 perché tradotti dal giapponese e non rielaborati.

 Tecnica ichibutsu jitate – 物仕立て

che all’interno dell’haiku presenta ed elabora un unico concetto:

Vedi questo esempio di Yosa Buson

mare di primavera
tutto il giorno le onde
oscillano dolcemente

oppure questo di Kobayashi Issa

una lucciola grande
vola e plana, vola e plana
vola e plana

oppure

l’ombra del pero

ghermita dal rastrello

del mio vicino

In questi haiku la narrazione poetica nasce e si sviluppa in pratica su un’unica immagine che viene introdotta nel primo rigo, sviluppata nel secondo rigo, conclusa nel terzo.

Nel caso in cui si opti per tale tecnica, non è necessario nemmeno applicare il Kireji, il segno di stacco o cesura, che vi ricordo può essere un (-) o un nostro segno di interpunzione.

 

Tecnica toriawase – 取り合わ

che in giapponese potrebbe essere tradotta come “combinazione” e che al suo interno presenta due distinti concetti/immagini, e li elabora con due diversi poli di tensione che si distinguono in:

Torihayasi取はや

che è il polo armonico, che aggiunge armonia/rafforza, che aggiunge una cosa all’altra per migliorarle entrambi:

vedi questo haiku di Masaoka Shiki

gli occhi stanchi

contemplando le rose:

convalescenza (torihayasi)

 

o questo di Morikawa Kyoroku

vento fresco:

l’ombra di una nuvola (torihayasi)

sulle verdi risaie

Nibutsu shougeki 二物衝撃

“lo scontrarsi delle due cose”), il polo della “marcatura”: mettere due cose insieme per creare un impatto inaspettato e nuovo:

Vedi questo esempio di Matsuo Basho

esausto

in cerca di una locanda:

fiori di glicine (Nibutsu shougeki)

 o questo di Ito Shintoku

 giorno di pioggia:

attraversano il cancello (Nibutsu shougeki)

i fiori di iris

Va precisato che in un haiku trovano allocazione singolarmente, vedi esempi di cui sopra, o la Torihayasi o il Nibutsu shougeki, mai entrambi contemporaneamente, come invece a volte troviamo negli haiku postati all’interno di gruppi di poesia Haiku Italiani su Facebook, principalmente da neofiti. Tale modello oltre a non essere aderente ai canoni stilistici tradizionali e alle direttrici estetiche, non è nemmeno particolarmente efficace, perché solitamente genera confusione fra le immagini.

FONTI: (LA LUNA E IL CANCELLO – SAGGIO SULLO HAIKU di LUCA CENISI e Rivista online CINQUESETTECINQUE).

 “HAIKU” parte quinta 

-METODI o INDIRIZZI COMPOSITIVI- Tratti da un saggio di Jane Reichhold.

Come abbiamo visto, è lungo il percorso per arrivare ad essere un buon “haijin”, lunga è la ricerca di quel famoso “Momento haiku”, una sorta di illuminazione, che porta il cuore e la mente ad essere correttamente allineati, dove può bastare una semplice descrizione della esperienza vissuta per realizzare un buon Haiku.

Proprio l’attesa di questi momenti magici, spesso si trasforma in frustrazione e spesso si è presi dalla paura di scrivere un famigerato, “Haiku da scrivania”, un haiku che non è frutto di quell’Attimo Fuggente, così da chiedersi: “Cosa c’è di sbagliato in me? Non sono stato abbastanza preparato spiritualmente? Sono troppo banale? Troppo disattento? Insensibile alle parole? Forse anche molte delle mie convinzioni cristiane mi tengono lontano dal nirvana Zen dell’Haiku?

A tutto ciò ha dato una risposta Betty Drevniok che nei primi anni 80, era presidente della Haiku Society of Canada, fornendoci numerosi ed ottimi consigli per scrivere Haiku.

Con ciò non ci dobbiamo sentire liberi dal continuare a seguire il nostro fūryū, ma ci aiuteranno tantissimo a facilitarcelo e ad evitare di scrivere “Haiku da scrivania “; sempre però che ciò che stiamo per scrivere sia veramente il frutto di un nostro momento vissuto realmente e non soltanto frutto della nostra fantasia. Nell’illustrare i vari indirizzi compositivi o metodi, tralascio per brevità il termine metodo.

NB: alcuni degli esempi di Haiku che seguono non rispettano la sillabazione 5-7-5 perché tradotti dal giapponese e non rielaborati

 

Del confronto – Nelle parole di Betty Drevniok:”Nell’Haiku il QUALCOSA e il QUALCOSA d’ALTRO sono fissati insieme in immagini chiaramente indicate, si completano e si soddisfano a vicenda come un EVENTO PARTICOLARE l’autrice lascia al lettore la comprensione che l’idea del confronto sia mostrare come due cose diverse siano simili o condividano aspetti simili.

un pisolino estivo
a valle
dei ciliegi in boccio

Ciò che viene espresso, ma non detto, è il pensiero che ciò che sboccia su un albero può essere paragonato a fiori che schiacciano un pisolino. Ci si potrebbe anche chiedere a quali altre immagini si possono confrontare dei germogli di ciliegio.
Un lungo elenco di elementi può formarsi nella mente per sostituire la prima riga. Oppure si può ribaltare l’idea e chiedersi cosa, nel paesaggio primaverile, possa essere paragonato a un pisolino, senza nominare le cose che chiudono gli occhi per dormire. Cambiando una di queste immagini si può comporre il proprio Haiku ottenendo un nuovo apprezzamento e la consapevolezza.

Del Contrasto – Ora il lavoro appare più facile. Tutto ciò che si deve fare è il contrasto delle immagini.

La bellezza di questa tecnica è l’emozione creata dagli opposti. Si crea un immediato interesse per il ‘momento Haiku’ più comune. La maggior parte delle sorprese della vita viene dai contrasti, perciò questa tecnica è importante per l’Haiku.Oppure Se guardo una faccia, l’altra, nascosta, pur se non la vedo, so che esiste sul retro.  

Lunga pioggia dura
appende nei salici
nuove tenere foglie

Alberi spogli
sulle sponde del fiume
ora s’ignorano

Dell’AssociazionePuò essere pensata come “come cose diverse che si riferiscono o si incontrano”. Lo Zen di questa tecnica è chiamato “unità” o mostrare come ogni cosa è parte del tutto. Non è necessario essere un buddhista per capirlo: basta essere consapevoli di ciò che è, questo è sufficientemente illuminante.

Antenati-
la prugna selvatica
fiorisce di nuovo

Se questo è troppo difficile da vedere perché non vi piace paragonare i vostri antenati agli alberi di prugna, forse è più facile da capire con:

spostandosi nel sole
il pony porta con sé
qualche ombra di montagna

Aiuta spiegare come è nato questo ku? Stavo guardando alcuni pony al pascolo, la mattina presto, su un prato che era ancora in parte coperto dall’ombra della montagna. Mentre i pony si muovevano lentamente pascolando al sole, mi è capitato di concentrarmi sulle ombre, così ho visto alcune delle ombre della montagna seguire un pony, diventando la sua stessa ombra. Si può anche pensare che il cavallo mangi l’erba della montagna diventando montagna e viceversa. Quando scompaiono i confini che separano le cose, è davvero un momento sacro di conoscenza e non c’è da meravigliarsi che gli scrittori Haiku siano educati ad inspirarsi a questi miracoli e alla loro conservazione in ku.

Dell’Ambiguità – È probabilmente una delle tecniche poetiche più antiche. Si pensa che la conoscenza spirituale dei primi tempi fu segretamente conservata e tramandata attraverso enigmi. Perché la poesia, com’è oggi, è la commercializzazione di preghiere religiose, incantesimi e conoscenza, non è una sorpresa che gli enigmi siano ancora parte importante della trasmissione poetica delle idee.

spiriti
agitano dal cactus
sacchetti di plastica

Il ‘trucco’ è di porre l’enigma in termini quanto più sconcertanti possibile. Cosa si può dire affinchè il lettore non riesca a intuire la risposta? Quanto più intrigante è l’enigma, tanto maggiore la sorpresa della risposta e migliore l’Haiku. Non si deve però eccedere per non perdere completamente il lettore. Si deve quindi dare un senso alla composizione che deve risultare realistica. Questo è il tipico caso di Haiku da scrivania, ragionato e non istintivo. Se uno ha visto sacchetti di plastica impigliati in un cactus, è facile che giunga alla mia stessa conclusione. Se non lo avessi mai visto, tale evento poteva accadere solo nella mia immaginazione e in quel territorio il lettore si potrebbe perdere. Bisogna quindi rimanere “veri”, scrivere cose semplici. Il vecchio trucco preferito dai grandi maestri era del tipo: è un fiore che cade o è una farfalla? o è la neve sul pruno o sono fiori? sono una farfalla che sogna dii essere un uomo o un uomo che sogna di essere una farfalla?
Anche in questo caso, se si desidera sperimentare, è possibile porsi la domanda: se ho visto la neve su un ramo, cos’altro potrebbe essere? O se si vede una farfalla che passa ci si chiede cos’altro potrebbe essere oltre a una farfalla?

Del cambio di senso – Questa è un’altra delle tecniche preferite dai vecchi maestri giapponesi, che però l’hanno usata parsimoniosamente e con molta discrezione. Si tratta di parlare semplicemente dell”aspetto sensoriale di una cosa e poi passare a un altro organo sensoriale. Di solito si tratta di sentire qualcosa che si vede per poi passare dal vedere al gustare o viceversa.

lattuga casalinga
il gusto della buona
acqua verde

Della messa a fuoco – È stata usata molto da Buson perché, essendo un pittore, aveva un approccio molto visivo. Fondamentalmente ciò che si fa è iniziare con un obiettivo grandangolare sul mondo in primo piano, passare a un obiettivo normale per lo sfondo e infine lo zoom per il primo piano. Sembra semplice, ma risulta molto efficace. Leggete alcuni lavori di Buson per vedere quando e come ha usato questa tecnica. Oppure quando viene messo all’improvviso in risalto un elemento che era poco visibile. L’autore d’un tratto lo rende vivido, destando quasi una “sorpresa” nel lettore. L’oggetto messo a fuoco poteva essere, nell’immagine descritta dall’haiku, sullo sfondo, o a destra, o a sinistra, o in alto, o in basso, o sopra o sotto, può essere anche in relazione al tempo, e potrebbe prima non comparire affatto. All’improvviso l’attenzione si posa su quel particolare. L’occhio si comporta come una telecamera.

tutto il cielo
in un ampio campo di fiori
un tulipano

divertente!
Le lucciole volano
a destra e a sinistra.

Della similitudine – Di solito in inglese si sa che è in arrivo una similitudine quando si incontrano le parole “as” e “like” o in italiano “come”. Occasionalmente si troverà in un Haiku l’uso di una similitudine presentata ancora con queste parole, ma i giapponesi hanno dimostrato che questo è del tutto inutile. Da loro abbiamo imparato che è sufficiente mettere due immagini in contrapposizione (una accanto all’altra) per consentire al lettore di capire il “come”. Quindi, in pratica la regola non detta è che è possibile utilizzare la similitudine (i puristi delle regole però mettono in guardia dal farlo) se siete abbastanza abili da omettere semplicemente il “come”. Inoltre, in questo modo si dà al lettore una parte attiva in quanto deve scoprire la similitudine.

un lungo viaggio-
alcuni petali di ciliegio
cominciano a cadere

Dello schizzo o shasei di Shiki – Anche se questa tecnica viene spesso denominata shasei (schizzo di vita) o shajitsu (realtà) è stata in uso fin dall’inizio della poesia in Oriente. Il principio poetico è “descrivere com’è”.
Shiki era, per sua natura, contro tutto ciò che rappresentava lo status quo. Se i poeti utilizzavano troppo qualche idea, o metodo, il suo obiettivo personale era quello di farlo notare e suggerire qualcosa di diverso. Questo sembra il modo in cui gli stili poetici vanno, e passano, di moda. Shiki odiava giochi di parole, indovinelli e tutte le cose di cui abbiamo parlato finora; preferiva la semplice quiete di dire quello che vedeva senza aggiungere niente d’altro. Trovò la bellezza più grande guardando le cose semplici e raccontandole semplicemente. Il 99% dei suoi Haiku sono stati scritti con questo stile.
Molti seguono il suo pensiero ancora oggi: ci sono alcuni momenti che forse appaiono ancora migliori se descritti nel modo più semplice possibile. Eppure, nel 1893 egli si rese conto, dopo aver scritto molti Haiku, che anche la sua nuova idea poteva diventare noiosa. Quindi il metodo è una risposta, ma non è mai la risposta completa di come scrivere un Haiku.

sera-
onde vengono nella baia
una alla volta

Del cambio verbo / sostantivo – Questo è un modo molto gentile per realizzare un gioco di parole oppure ottenere un doppio significato dalla stessa parola. In inglese abbiamo molte parole che funzionano sia come verbi che sostantivi.

pioggia di primavera-
il salice appende
gocce di pioggia

Del collegamento forte – Fondamentalmente questo potrebbe fare parte della tecnica dell’associazione, ma funziona anche con contrasto e confronto. Nel fare qualsiasi connessione tra le due parti di un Haiku, il salto può essere di diversi tipi. Di solito i principianti acquisiscono facilmente questa tecnica che spesso è la prima ad essere usata.

freddo inverno-
trovare su una spiaggia
un coltello aperto

 

Del salto di collegamento – Quando aumentano le capacità di uno scrittore, i collegamenti ‘facili’ tra le due parti della composizione non bastano più all’autore. Come esseri umani siamo portati a cercare il successivo livello di difficoltà per sperimentare nuove emozioni. Così lo scrittore comincia a tentare salti che un lettore inesperto non può seguire e apprezzare. La cosa bella di questo aspetto è che quando si comincia a leggere Haiku di un certo autore, alcune delle sue composizioni ci lasciano freddi. Ma se anni dopo, con maggiore esperienza, tornerà sullo stesso libro, il lettore scoprirà la verità o la poesia o la bellezza in un Haiku che in precedenza sembrava incomprensibile.
Credo che il punto importante nell’utilizzare questa tecnica è che lo scrittore sia sempre del tutto consapevole della sua ‘verità’. Poeti che realizzano salti surreali spesso sembrano impossibili da seguire (penso a Paul Celan). Però se si pensa al verso abbastanza a lungo e abbastanza profondamente, si può trovare la verità dell’autore.

fiori di campo-
il sole d’inizio primavera
nella tua mano

Della miscelazione – Significa mescolare l’azione in modo che il lettore non sappia se è la natura ad agire oppure l’essere umano. Un modo per usare questa tecnica è usare il gerundio in combinazione con un’azione che sembra ragionevole sia per un essere umano che per la natura. Molto spesso quando uso un gerundio in un Haiku fondamentalmente sto dicendo: “Io sono…” quello che compie un’azione, ma lasciando non detto “Io sono”.
E’ un buon modo per combinare l’azione umana con la natura in modo da minimizzare l’impatto dell’ autore, consentendo appunto una interazione tra uomo e natura.

fine inverno-
coprendo la prima fila
di semi di lattuga

Del paradosso – Uno degli obiettivi dell’Haiku è quello di confondere il lettore quel tanto che basta per attirare il suo interesse. Usando un paradosso si attiverà interesse, dando al lettore molto su cui pensare. Anche in questo caso, non si può usare senza senso, ma si deve costruire un vero e proprio paradosso (collegato alla realtà).

salendo il monte del tempio
i muscoli delle gambe stringono
in gola

Del mondo improbabile – Questa è molto vicino al paradosso, ma ha una leggera differenza. Anche questo è un vecchio strumento giapponese che è spesso utilizzato per rendere la poesia semplice, quasi infantile. Spesso dimostra una visione distorta della scienza, quello che ‘sa’ non è vero, ma ha sempre la possibilità di essere vero (come nella fisica quantistica).

vento della sera-
i colori del giorno
spazzati via

oppure

sala d’attesa-
una chiazza di sole
consuma le sedie

Del se condizionale: Non abbisogna di spiegazioni basta l’esempio

se manca il Saké
cosa vale la bellezza
dei fiori di ciliegio?

 

Della esortazione: quando qualcuno, o qualcosa, prende le parti o le difese di un altro o di un’altra cosa. Interessamento, difesa, partecipazione


non schiacciarla:
la mosca ti prega
sfregando le zampe.

Dei reciproci effetti: quando un oggetto, una persona, un evento sta facendo una cosa che contemporaneamente può essere attribuita ad un’altra persona, oggetto o evento.

sulla fessura
il dorso della mano
spinge il vento

è il vento che spinge la mano, ma anche la mano che spinge il vento.

pittura fresca
il verde sul cancello
sporco col dito

il dito sporca il verde fresco sul cancello lasciando una impronta, ma contemporaneamente il dito si sporca di vernice fresca

 

Del ritorno alle origini: quando un oggetto, una cosa, una persona, un evento, tendono a ritornare all’origine

è primavera-
l’armadio che vorrebbe
rigermogliare.

armadio>legno>albero <> rigermogliare

Della messa in relazione: quando una cosa che appartiene a tutti viene messa in rapporto con un qualcosa che appartiene solo a una categoria

nelle vene con
ugual colore scorre
qualunque sangue

il colore rosso del sangue, che appartiene a tutti, viene messo in relazione con la pelle, che può avere colori diversi.

Della ripetizione del concetto: quando si prosegue con un aumento, una moltiplicazione, un incremento, quando si mette in atto la ripetizione di un concetto già espresso per sottolinearlo, ma la ripetizione non è fine a se stessa in quanto aggiunge altri significati.

il vento soffia
– quasi staccata la foglia –
soffia di nuovo

Cartesiano: si gioca sulla contrapposizione di due “direzioni”.

rondini vanno-
dietro le ali resta
neve che cade

Dell’arresto dell’azione: quando si mette in atto un’idea di “arresto dell’azione”, un “fermarsi” di ogni natura, fisica, ideale, concettuale

polverosa via
un tronco schiantato;
qui io mi fermo.

Della sequenza logica: forse la tecnica più usata

quando viene descritta la sequenza logica e normale di un’azione o di un evento. È uno dei casi più difficili di realizzazione del ribaltamento, perché esso sembra inesistente, ma in realtà è piccolissimo, minimo, delicato, sfuggente. L’haiku resta sino alla fine in una sorta di “sospensione”, fino a quando viene messo in risalto all’improvviso un dettaglio, uno svelamento.

sulla campana del tempio
posandosi riposa
una farfalla

un gallo finge
di essere un leone
raddrizzando le piume.

Della sostituzione della aspettativa: quando quello che accade, rispetto a ciò che ci aspettavamo, rispetto a ciò che sarebbe stato ovvio, consequenziale, atteso, è invece contrario, in contrasto, differente, inaspettato.

gettato un sasso
nello stagno schizzano
rane qui e là

dal naso
del Grande Buddha
esce una rondine

Dello spostamento di luogo: quando vengono poste cose in un luogo che invece è deputato a contenere normalmente altri soggetti. Quando si sradica da un luogo un oggetto che gli è proprio e lo si trasferisce in un altro luogo.  Tecnica che richiede discrezione e ponderatezza per non rischiare di essere artificiosi.

fetta di luna
sull’orlo del bicchiere-
limone in cielo.

montagne lontane
si riflettono negli occhi
di una libellula

Plurisensoriale: quando più sensi (udito, tatto, odorato, ascolto…) sono contemporaneamente coinvolti.

viene dal fiume
verde odore di canne
mosse dal vento.

Con ciò, ora dovreste essere in grado di scrivere buoni Haiku, ma avremo modo di parlare ancora tanto di questa splendida e difficile forma di poesia orientale, che ancora oggi è la più praticata sia in Giappone che nel resto del mondo.

Parleremo del “SAIJIKI” o LIBRO DELLE STAGIONI, e approfondiremo diversi altri aspetti filosofici e no!

 

HAIKU: PARTE SESTA

IL SAIJIKI o LIBRO DELLE STAGIONI

 

Innanzi tutto ci tengo a ricordare che:
Il riferimento stagionale deve essere sempre presente all’interno di un Haiku in uno dei tre versi e può presentarsi come “tema stagionale” (kidai 季題) o come “termine stagionale” (kigo 季語) e/o in alternativa nella forma del “Piccolo Kigo”

Il KIDAI è quell’espressione (fraseologica o terminologica) che delinea il contesto naturalistico-temporale dello scritto (ad esempio, “la raccolta dei narcisi”), indicando così un “tema” generale, un aspetto stagionale relativamente ampio, suscettibile di ulteriore dettagli ad opera di termini o locuzioni più specifiche (come “narciso”, “fior di maggio”, ecc.).

Il KIGO (o “parola della stagione”) è, invece, quel termine o quella locuzione che identifica, con alto grado di specificità, un dato periodo dell’anno. Si può dunque affermare, con le dovute approssimazioni, che tra kidai e kigo intercorre un rapporto di “genere a specie”, laddove il primo incarna un “tema stagionale” o una “famiglia” di kigo .
Così, la magnolia non simboleggia la primavera, ma è la primavera, poiché il suo ritmo di nascita, crescita e maturazione è così intimamente legato al ciclo temporale intercorrente tra l’inverno e l’estate da non possedere altra valenza che quella propria di tale stagione, grazie ad un processo di “assorbimento” simbolico che implica, suggerisce e associa questo tipo di fiore alla primavera.

IL PICCOLO KIGO
È sempre preferibile il Kigo, ma è ammesso anche il piccolo Kigo nella rappresentazione delle varie fasi di una giornata ad esempio: l’aurora, l’alba, il mattino, il mezzogiorno, sole alto, mezzodì, pomeriggio, sera, imbrunire, calar del sole, tramonto, notte, stelle lucenti, luna piena etc.

Qui di seguito, solo orientativamente, vi fornisco un esempio di Saijiki, o elenco delle stagioni da me elaborato, prendendo spunto da varie fonti; un lungo e faticoso lavoro, che spero vi sia di utilità.
NB: Ci tengo a precisare che sono solo suggerimenti o idee contenenti il Kigo per poi comporre il verso metricamente o grammaticamente corretto.
Considerate che ogni scuola di Haiku Giapponese, di questi libri, ne ha uno proprio ( ne esistono ben 18.000) e tutti tenuti gelosamente segreti; tanto è che in Occidente non ne è mai stato stampato uno.

PRIMAVERA

FENOMENI ATMOSFERICI

Acqua tiepida – Alba in Primavera – Aria serena – Arrivo della primavera – Aurora in Primavera – Brezza leggera – Buio in Primavera – Cuore di Primavera – Disgelo – Fine del freddo – Fioritura – Foschia – Ghiaccio sottile -Inizio di primavera – La dolcezza dell’aria – L’equinozio di primavera – L’estate si avvicina -Libeccio – Lunghe giornate – Marzo – Nebbia – Neve a chiazze – Neve leggera -Neve sciolta – Notte primaverile – Sereni pomeriggi – Petali di neve – Primavera che arriva – Primavera che se ne va – Neve primaverile (Petali di neve) – Primo arcobaleno – Riverbero – Rugiada – Slavina – Sole primaverile – Ultima neve – Ultimo freddo – Valanga -Vento dell’est.

PAESAGGI E COLORI

Azzurro – Canta la sorgente – Cinguettio degli uccelli – Colline dolci – Colline in fiamme – Colline fiorite – Fango primaverile – Fine del freddo – Montagna ridente – Polvere gialla – Risaia – Risveglio degli insetti – Risveglio della natura – Riverbero di luce – Sorgente – Stagno – Vento splendente – Verde – Verde giovane.

FLORA

Aglio – Alga verde – Alloro – Amarena – Ambrosia – Anemone – Artemisia – Asfodelo – Asparago – Avena – Azalea – Bambù ingiallito – Biancospino – Camelia – Caprifoglio – Cardo – Ciclamino – Cisto – Dente di leone – Equiseto – Erba giovane_ Erba rinverdisce – Faggio – Fave Fresche-  Ferula – Fiore- Fiore d’albicocco – Fiore d’arancio – Fiore di cardo – Fiore di ciliegio – Fiore di colza – Fiore di fragola – Fiore di gelso – Fiore di melo – Fiore di pesco – Fiore di pruno – Fiore di ravanello – Fiore di senape – Fiore di susino – Forsizia – Gelsomino – Gemme di rosa – Gemma di salice – Gladiolo – Glicine – Grano acerbo – Grano verde – Lentaggine – Lilla – Magnolia – Mandorlo in fiore – Margherita- Menta- Myosotis – Mughetto – Narciso – Orzo verde – Polline – Prima erba – Primula – Pruno – Punta di freccia – Ramo d’ulivo – Ranuncolo – Salice – Tarassaco – Tulipano – Ulivo – Veccia – Viola – Violetta – Wakame.

FAUNA

Agnello – Agnello – Airone binaco -Allodola – Alveare – Anatra – Anemone di mare – Ape – Aquila – Ariete – Aringa – Arnia – Baco da seta – Bianchetto – Calamaro – Capinera – Cervo in muta – Coccinella – Colomba- Fagiano – Farfalla – Gatto in amore – Girino – Giovane passero – Girino – Mosca di primavera – Nido di uccello – Passerotto – Pettirosso – Pony – Prime mosche – Primi nidi – Pulcino – Puledro – Rana – Rondine – Sparviere – Storno – Trota – Uovo – Usignolo – Vitello – Vongola.

EVENTI/VITA UMANA

Adolescente- Adolescenza- Allergia – Altalena – Anemone – Annunciazione – Aquilone – Armonium – Bolla di sapone – Compleanno del Buddha – Festa della mamma – Giovedì Santo – Girandola – Mercoledì delle Ceneri (le Ceneri) – Ora legale – Palloncino – Pasquetta – Pellegrinaggio – Pesca d’altura – Pesce d’aprile – Piffero – – Preghiera dell’Angelo (Angelus Domini) – Prima cavalcata – Prime allergie -Primo Aprile – Primo Maggio – Quaresima – Raccolta delle erbe – Raccolta del tè – Sabato Santo – Santa Pasqua (o Pasqua) – Settimana Santa – Sciroppo d’acero – Transumanza – Trapiantare – Ventaglio – Vivai.

ESTATE

FENOMENI ATMOSFERICI

Acquazzone – Acquazzone improvviso – Acquazzone serale – Afa – Agosto – Amarillide – Arcobaleno – Aridita’ –Autunno vicino – Brezza Mattutina – Brezza profumata – Caldo – Calma piatta o Mare Piatto – Canicola – Cielo estivo – Cielo in fiamme – Cielo brucia – Colpo di calore –Cuore dell’estate – Fulmine – Grandine – Monsone – Notte breve – Prato assetato – Siccità – Sole allo zenith – Sole bruciante – Sole cocente – Solstizio d’estate – Stillicidio – Tempesta – Temporale – Triangolo Estivo* – Tuono – Umidità – Vento caldo – Vento del sud – Vento di groppo – Vento verdeggiante-

Note: * Sono un asterismo ( o meglio un gruppo di stelle) formato dalle stelle Altair- Deneb – Vega, che appaiono nella via lattea nel nostro emisfero Boreale

PAESAGGI E COLORI

Agosto – All’ombra di un albero – Campo asciutto -Campo dorato – Campo giallo – Cascata – Crepe nella terra – Estate – Fiume in piena – Fiume in secca – Fresco in veranda – Giugno – Grano dorato – Lato in ombra – Luglio – Luna estiva (o Luna d’estate) – Ombra delle foglie – Ombra nel parco – Prateria – Prato estivo – Rosso – Verde ovunque.

FLORA

Acacia – Acquamarina – Afide – Agave – Albicocca – Amaranto – Ananas – Anguria (o Cocomero) – Anice – Aster – Banana – Cactus – Canapa – Cappero – Cavolo – Cetriolo – Ciliegia – Convolvolo notturno- Dalia – Edera – Erbe aromatiche – Fiore di acacia – Fiore di patata – Fiori di ippocastano – Fiori di melone -Foglie di ciliegio – Fiori di Loto – Foglie verdi –Fragola – Frutti di bosco – Garofano – Geranio – Germoglio di bambù – Giglio – Gigli di mare – Ginestra – Girasole – Gladiolo – Grano – Grano dorato – Ibisco – Iris (o Giaggiolo) – Iris selvatico – Lino – Loto – Malerba – Malva – Malvarosa – Melanzana – Melone – Mirto – Mora – Mughetto – Multiflora – Nespolo – Ninfea – Occhiello – Oleandro – Ortensia – Ortica – Orzo – Papavero – Patata novella – – Paulonia – Pesca – Peonia – Peperone – Pomodoro – Prugna – Riso – Rododendro – Rosa – Stella alpina – Viola.

FAUNA

Airone – Aironi rosa – Albatro – Anatra – Anguilla – Aragosta – Aringa – Avvoltoio – Balena blu – Bombo – Calabrone – Cantano i grilli –  Cicala – Coccinella – Cormorano – Cuculo  -– Falena – Formica – Granchio – Libellula – Lombrico – Lontra – Lucciola – Lucertola – Lumaca – Martin pescatore – Medusa – Mosca – Pascoli alti – Pellicano – Pernice – Pesce rosso – Pipistrello – Rana – Ragno – Rospo – Scarafaggio – Serpente – Sgombro – Sogliola – Vipera – Zanzara.

EVENTI VITA UMANA

Abbronzatura – Alpenstock – Amaca – Prati annaffiati – A piedi nudi – Aquilone – Aria condizionata – Arrampicata – Ascensione – Assunzione – A torso nudo – Bagnasciuga – Bagno di mare – Barbecue – Barca – Beach volley – Bibita – Bikini – Birra – Caffè shakerato – Campeggio – Canoa – Cappello da sole – Cappello di paglia – Catamarano – Climatizzatore – Corpus Domini – Crema solare – Costume da bagno – Crema solare -Cubetto di ghiaccio – Docce frequenti – Doposole – Esame di maturità – Escursioni in montagna – Falciatura – Fine della scuola – Fontana – Frullato – Fuochi d’artificio – Gelato – Ghiacciolo – Gocce di sudore – Granita – Grigliata – Il nuovo tè – Kajak – Mietitura ( o tagliare il grano o il frumento ) – Nudista – Nuoto in mare – Occhiali da sole – Ombrellone – Paglietta – Palio (Palio di Siena) – Piscina – Prendere il sole – Profumo – Sandali – Scottatura – Sedia a sdraio – Siesta – Spiaggia – Stuoia di paglia – Sudore – Surf (surfing) – Sushi – Tagliaerba – Topless – Vacanza estiva – Venditore di cocco – Ventaglio – Ventilatore – Vestire leggero – Windsurf – Yacht – Zampirone – Zanzariera.

 

AUTUNNO

FENOMENI ATMOSFERICI

Acquerugiola –Alluvione -Brezza autunnale –Brina -Brividi serali/notturni -Crepuscolo d’autunno -Estate Indiana (o Estate di San Martino) -Equinozio d’autunno -La Via Lattea – Lunga notte – Luna d’autunno -Luna di Settembre -Luna piena (luminosa) -Mattino freddo –Nebbia -Nubi a fiocchi –Pioggerella -Primo freddo – La prima neve – Rugiada -Sedicesima notte -Tempesta d’autunno -Tempesta di vento -Ultimo caldo -Vento tra le canne.

PAESAGGI E COLORI

Autunno – Cadono le foglie – Campi vuoti -Foglie caduche -Foglie colorate -Foglie ingiallite -Foglie lucenti -Foglie multicolore –Giallo – Grigio –Marrone –Novembre –Ocra – Odor di mosto – Ottobre -Rosso spento –Settembre- Vino Novello.

FLORA

Acero – Alberi di Ginko – Amamelide – Arachide -Arancia acerba –Aronia -Bambù verdeggiante –Caco( cachi ) – Calicanto -Canna – Canna da zucchero –Canneto –Castagna –Cedro -Cespuglio trifoglio- Chicco di riso – Ciclamino -Crisantemo – Elleboro – Fagiolo novello -Fava novella –Fico – Fiore di genziana -Foglie cadute -Foglie gialle -Foglie rosse –Fungo – Gelsomino di S.Giuseppe -Genziana –Ghianda -Limone acerbo -Mandarino acerbo –Mandorla –Mela –Melograno –Miglio –Mirto –Noce –Nocciola –Oliva –Orchidea –Patata -Patata dolce –Peperone –Pera -Pettine di gallo -Riso novello -Rosa di Sharon -Semi d’erba –Soia – Stoppie -Uva – Valeriana gialla –Zucca – Zucchero di canna

FAUNA

Ballerina gialla –Beccaccia –Branzino – Capinera – Cavalletta –Cavallo –Cervo –Cinciallegra -Cinghiale  -Leone marino –Libellula –Locusta –Luccio -Mantide religiosa –Merlo – Migrar delle oche – Pellicano bianco – Picchio -Prime anatre –Quaglia –Salmone -Sardina –Storno –Tordo – Uccelli migratori – Ultima rondine.

EVENTI/VITA UMANA

Abaco –Acquavite – Apertura della caccia –Aratro – Aratura – Armistizio – Arpa – Fascina di paglia – Festa dei crisantemi -Festa di S. Michele – Fine delle vacanze – Giornata dell’Alzheimer – Il giorno dei defunti –Lanterna – Malinconia – Muro di Berlino – – Ognissanti – Pagliaio – Raccolta del cotone – Raccolta del riso – Ritorno a scuola – Spaventapasseri – Sumo – Vendemmia

INVERNO

FENOMENI ATMOSFERICI

Afelio – Alba fredda – Alba nel freddo – Aria pura* Aurora Boreale – Bora (vento di bora) – Bruma – Bufera di neve -Chicco di grandine – Cielo invernale – Crepuscolo precoce – Fiocco di neve – Fiume gelato – Freddo – Gelo — – Ghiaccio – Giorni della Merla – Grandi fiocchi di neve- Grandine in inverno – Luna d’inverno – Nebbia in inverno – Neve – Neve farinosa – Neve fine – Neve leggera – Neve pesante – Nevischio – Notte chiara – Nubi in inverno – Pioggia fredda – Prima neve – Primo gelo – Sole basso – Stagione fredda – Stalattite (di ghiaccio) – Stelle fredde e chiare – Tempesta di neve – Tormenta – Tramonto in inverno – Tramonto precoce * Tuoni in inverno – Vento del Nord – Vento e neve –

PAESAGGI E COLORI

Boschetto d’inverno – Boschi bianchi – Campo appassito – Campo ghiacciato – Campo sterile – Ghiaccio e neve – Ghiaccio galleggiante – Ghiaccio sottile – Ghiaccio spesso – Lago ghiacciato – Lago incolore – Landa secca -Letargo – Mare ghiacciato – Montagna innevata – Muro di ghiaccio – Notte lunga – Notte d’inverno – Palude prosciugata – Parete di ghiaccio – Pianura appassita – Piste da sci – Strade ghiacciate – Rami spogli – Rugiada gelata – Specchio di ghiaccio – Stagno prosciugato – Solstizio d’inverno – Terreno ghiacciato.

FLORA

Abeti spogli – Agrifoglio – Alabastro – Alberi spogli – Alberi nudi – Aloe – Aloe vera – Ametista – Arancia – Arancio – Bucaneve – Camelia invernale – Carota – Cipolla – Crisantemo appassito – Erba invernale – Erica – Fagiolo – Fiori di te’ – Frutti di bosco – Ginepro – Giunco appassito – Lana- Lavanda – Lenticchia – Loto appasito – Mandarino – Narciso – Prugna secca – Rapa – Ravanello – Sedano – Stella del mattino – Vischio

FAUNA

Alce – Anatra mandarina – Anatra selvatica – Balena – Carpa argentata – Carpa dorata – Cicogna – Cigno – Cimice – Coniglio – Corvo – Donnola – Falco – Lupo – Martora – Merluzzo – Oca (Oca selvatica) – Orso – Ostrica – Passero – Pesce persico (o Persico reale) – Piviere – Rana pescatrice – Renna – Sardina – Scricciolo – Svasso – Volpe bianca –

EVENTI VITA UMANA

Accetta – Alambicco – Alare – Albero di Natale – Alchermes – Arrosto – Bastone – Befana – Braciere – Caccia (o Stagione della caccia) – Camino – Capodanno (o Primo dell’Anno) – Cappotto – Carbone – Cioccolata calda – Cotechino – Danza del Leone – Decorazioni natalizie – Epifania (o Epifania del Signore) – Febbre – Festa del papa’- Fine anno – Frico – Futon – Guanto – Influenza – Memoriale di Basho – Memoriale di Buson – Natale (o Santo Natale) – Palla di neve – Pandoro – Panettone – Pelliccia – Polenta – Presepe (o Presepio) – Pupazzo di neve – Quilt – Raffreddore – Re Magi – Rogo della Vecia (o Processo della Vecia) – Trapunta – Sake – San Nicolo’ – San Silvestro (o notte di San Silvestro) – Santa Lucia
Sci – Scialle – Slitta – Slittino – Smog – Stivali – Strenna – Stufe accese – Vigilia di Natale – Vin Brulé – Zampogna.-

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Come già detto, in Giappone questi elenchi sono accompagnati da esempi e sono largamente più esaustivi; ma vorrei anche ricordare che da ogni parola o indicazione che troverete in questo elenco, se fate volare la vostra fantasia, potete ricavare innumerevoli variazioni, comunque sarà mia premura aggiornarlo di tanto in tanto.

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HAIKU: SETTIMA PARTE

 

APPROFONDIMENTI e RIFLESSIONI –

ARTICOLI STRETTAMENTE LEGATI ALLA COMPOSIZIONE DELLO HAIKU E ALLA SUA INTRINSECA FILOSOFIA.

In questa sezione, (in aggiornamento mano a mano che troverò qualcosa di interessante da proporre alla vostra attenzione), come precisato dal titolo trovano accoglimento molte colte disquisizioni che con pazienza e cognizione si possono trovare anche sull’WEB e che qui riporto per comodità di lettura, indicandone opportunamente le Fonti.

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Fonte: Cinquesettecinque –blog italiano per lo studio della poesia giapponese- autore Luca Cenisi.

L’ESTETICA DELLO SHIBUI

Termine fondamentale nella ricostruzione dell’estetica giapponese è lo shibui. Forma aggettivale del sostantivo shibusa, letteralmente “austerità”o, più probabilmente, di shibumi  (“astringenza”), esso affonda le proprie radici nella poetica del Periodo Muromachi (1333-1568), indicando, essenzialmente, tutto ciò che è asciutto o “astringente”, in contrapposizione a ciò che è amai ossia dolce.
Sebbene la trattatistica in materia di poesia haiku tenda a focalizzare l’attenzione del lettore su altri principi estetici (principalmente il wabi , il sabi, il mono no aware e lo yūgen), merita di essere evidenziato come anche lo shibui, con il suo fascino acerbo, discreto ed essenziale, abbia contributo in misura non trascurabile a ridefinire i contorni di un genere – lo haiku appunto – che fonda il proprio fascino sulla semplicità ed immediatezza di espressione, ossia sulla capacità, da parte dello haijin, di saper cogliere la realtà nel momento stesso in cui questa si manifesta, attraverso un procedimento di “quiescienza della mente” che non significa ablazione del sé, ma, ad un livello più profondo, riscoperta del sapore autentico dello spirito (kokoro no aji) latente in ogni cosa, nel qui e ora naturalistico.
Come rimarcato dallo scrittore e poeta giapponese Haruo Satō (1892-1964) nel suo Fūryū no ron (“Discorso sull’eleganza”) del 1924:

L’eleganza – o, quantomeno, l’eleganza così come perfezionata da Bashō [e da altri poeti] – è, essenzialmente, un’estrema intensificazione della sensibilità. Non importa quale sia il suo peso religioso o filosofico; essa è fondamentalmente artistica. Nella letteratura, l’arte dell’eleganza predilige una poetica estemporanea, quanto più vicina possibile al silenzio; nella pittura, invece, dipinti monocromatici, prossimi al vuoto.²

Lo shibui, con quella sua eleganza minimalista e “pungente”, adatta al buon gusto dell’epoca nella quale questo termine è entrato nel linguaggio comune, venne ben presto svincolato dai confini estetici del colore e della forma, per abbracciare – più in generale – atteggiamenti sociali e stili di vita. In questo senso, assumono un peso determinante le parole del critico e filosofo Yanagi Sōetsu (1889-1961):

Proprio in una bellezza ricca di implicazioni interiori risiede il carattere discriminante dello shibui. Non una bellezza ostentata al pubblico dal suo creatore, dunque, bensì una bellezza che l’osservatore stesso deve trovare da sé. Così, man mano che il nostro gusto si affina, arriveremo inevitabilmente a far esperienza del fascino dello shibui.

Di seguito riportiamo un esempio di haiku del monaco Daigu Ryōkan (1758-1831) e rappresentativo dell’estetica dello shibui:

鉄鉢に明日の米あり夕涼み
tetsubachi ni asu no kome ari yūsuzumi

fresco serale –
nella ciotola di ferro
il riso di domani

Tratti essenziali dello shibui, dunque, sono rinvenibili in uno stile artistico che predilige colori tenui, trame semplici e un registro linguistico privo di eclatanze e ostentazione, anzi a tratti “oscuro” e misterioso come una stampa monocroma sumi-e. Sebbene chiaramente legato ad altri valori estetici, primi fra tutti il sabi e lo yūgen, lo shibui manifesta, al contempo, un forte legame con la dimensione del sociale in senso ampio, e del “gusto estetico” in senso stretto. Non è, infatti, raro leggerlo in associazione con un secondo termine piuttosto noto nella manualistica specializzata, ossia jimi (“semplice”, inteso come forma di espressione del “buon gusto” comune) che, sebbene nato originariamente con una connotazione negativa e, a tratti, ironica, ha finito negli anni con l’inglobare la semantica di shibui, assorbendo quest’ultimo in un’unica espressione di “sobrietà” stilistica.

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Fonte: www.ilpalladino.it Autore Francesco Palladino, nota di Valeria Simonova Cecon.

 NECESSITÀ DEL KIGO IN UNO HAIKU

(STAGIONE O SEMPLICE ELEMENTO STAGIONALE)

Premesso che, a livello internazionale, provo molta ammirazione per la compianta Jane Reichold da cui ho appreso a comporre tecnicamente uno haiku , non ne condivido la concezione troppo permissiva e lontana dalla tradizione degli antichi maestri , sia per quanto riguarda la struttura del 5/7/5 sia per quanto riguarda il kigo.Esteticamente il kigo è la condizione imprescindibile di uno haiku perché segna il rapporto che l’autore deve avere con la natura. Comunque la vogliamo chiamare ,Dio, Tao o pura estensione, la natura è il tutto di cui facciamo parte e a cui rimanda il nostro sentimento in ogni momento della nostra giornata e della nostra esistenza. Un componimento, dunque, sarà uno haiku se l’autore tende a stabilire con la natura un rapporto simpatetico di “comprensione” attraverso una foglia, un uccello , una stagione o un momento della giornata e della vita dell’uomo stesso, mentre sarà un senryu se vuol sorridere, ironizzare o sentenziare di entrambi . In ogni caso, uno haiku è finalizzato sempre a mostrare o a trascendere un fatto concreto, senza interferenze mentali o filosofiche.

A proposito del piccolo kigo, In base all’analisi comparativa fatta personalmente sui saijiki italiani e stranieri (Tobia, Tierno, Cascina Macondo, Gruppo di Studio italiano sullo haiku, Haikuku ecc.), attualmente si può concludere :

1) è kigo la stagione o l’elemento caratteristico stagionale.

2) è kigo anche il piccolo kigo (con eccezione del Gruppo italiano di studio sullo haiku.

Aggiungo in questa sede una mia precisazione: Gruppo facebook che è nato dopo la chiusura della AIH (Associazione Italiana Haiku della quale era presidente Luca Cenisi che, con le giuste motivazioni, sostiene la non valenza del Piccolo Kigo; come potrete vedere in suo articolo che trovate riportato di seguito a questo.)

3) soltanto Cascina Macondo ammette il “kigo misuralis ” e il “kigo temporis”

4) soltanto nel saijiki di Enzo Tobia “vita” e “sempre” sono considerati kigo,

5) sulla scorta della preziosa ricerca di Valeria Simonova-Cecon ” la parola luna (月, tsuki) così com’è, nuda e cruda, viene riferita all’autunno. Perchè in autunno la luna si vede meglio ed è la più bella dell’anno. La luna autunnale è quella luna, La luna doc. Perciò basta dire “luna” per pensare subito all’autunno”.

Annotazione -Valeria Simonova-Cecon studiosa di letteratura giapponese e poesia haiku , a proposito del kigo e della struttura 575, ha scritto: “Per quanto riguarda gli haiku senza kigo, in Giappone sono una categoria a parte (c’è pure una voce nella wikipedia giapponese dedicata ai cosiddetti “muki haiku”, haiku senza stagione) e una parte del grande saijiki abbastaza recente, pubblicato dall’Associazione Haiku Moderni (una delle più vecchie associazioni di haiku in Giappone), è dedicata a questo tipo di haiku. A proposito del 5-7-5, pochissimi rispettano questa regola al di fuori dal Giappone (in Giappone stesso c’è una corrente che non rispetta questa regola ma è in assoluta minoranza rispetto all’approcio tradizionale). In Russia, Francia, Austria/Germania, paesi Balcanici ecc. normalmente la regola del 5-7-5 non viene rispettata. In Italia, invece, la maggioranza degli haiin rispetta il 5-7-5.

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Fonte: CenisiWeb – Autore LUCA CENISI –

RIFLESSIONI SULLO STACCO NELLO HAIKU

Com’è noto, il kireji (letteralmente, “carattere che taglia”) rappresenta lo stacco tra immagini o concetti giustapposti, una pausa/cesura atta a creare un effetto di sospensione, ammirazione o coinvolgimento con il qui e ora naturalistico. Alla soglia «tra il livello semantico e quello musicale-sonoro» (Iarocci), il kireji è elemento essenziale nella composizione di un buon haiku. Nei Paesi anglofoni (in particolare, gli Stati Uniti), il problema della riproduzione di questo elemento sostanzialmente non si pone; alcuni dei più importanti critici e studiosi di letteratura giapponese dell’ultimo secolo come Reginald Horace Blyth (1898-1964), Harold Gould Henderson (1889-1974) e William J. Higginson (1938-2008), infatti, hanno reso lo stacco (kire) attraverso un uso intensivo dei segni d’interpunzione, ben comprendendo come, in Occidente, le “parole che tagliano” siano fisiologicamente impossibili da trasporre con assoluta fedeltà.

In Italia, invece, pare che la “questione kireji”, circoscritta essenzialmente all’aut aut “punteggiatura sì/punteggiatura no”, debba occupare un posto di rilievo nelle discussioni all’interno dei vari Gruppi Facebook. Si presta, cioè, molta più attenzione a come rendere graficamente lo stacco che a come comprendere correttamente le tecniche attraverso cui perfezionarlo (torihayashi, nibutsu shōgeki). Così, coloro che ritengono l’impiego dei segni di punteggiatura una “violazione”dei canoni tradizionali giapponesi ammettono poi – paradossalmente – altri artifici letterari, come ad esempio il piccolo kigo, che, giova ripeterlo, è privo di fondamento storico-teoretico(il riferimento stagionale, secondo quanto rimarcato da Seki Ōsuga, trova rappresentazione solo nel kigo e nel kidai, entrambi radici del più antico ki no kotoba  e del kisetsu no goaisatsu o “saluto stagionale” presente nello hokku della r. Anziché concentrare i propri sforzi critici verso una rivalutazione del dato naturalistico (il cosiddetto “spirito stagionale” o kikan), dei principi basilari dell’estetica haiku (sabi, wabi, mono no aware, karumi, yūgen, ecc.) o del fūryū, questi Gruppi pongono categorici divieti ai loro iscritti, come il non utilizzare le virgole, i punti e i trattini, ed incoraggiandoli, al contempo, a far propri altri espedienti formali, come il trattino basso (“_”), l’uso della maiuscola all’inizio del secondo rigo di cesura o l’assenza totale di punteggiatura.

Personalmente, non ritengo vitale la questione. Fintantoché sussiste una stacco ben riconoscibile all’interno dello scritto, infatti, l’autore è libero di adottare la convenzione segnica che più gli aggrada. Conta, cioè, la sostanza e non la forma. Lo stesso Matsuo Bashō ci porta eloquentemente al nocciolo del problema:

«È per coloro che non sono in grado di distinguere tra una poesia “divisa” e una “non divisa” che i primi poeti hanno introdotto l’uso del kireji. Se qualcuno colloca una di queste parole all’interno di uno hokku, sette od otto volte su dieci lo hokku verrà diviso. Nei rimanenti due o tre casi, tuttavia, esso risulterà indiviso, sebbene contempli al proprio interno una parola di cesura. Parimenti, esistono hokku che risultano divisi anche se non hanno alcun kireji.» Ciò che intende il Maestro, è che la cesura non dipende dalla sua forma rappresentativa, ma dall’essenza stessa dello stacco, dalla giustapposizione di immagini apparentemente inconciliabili, ricondotte ad unità proprio attraverso lo spirito poetico che pervade l’intero haiku. Maiuscole, virgole, due punti: tutte queste sono convenzioni grammaticali proprie delle lingua occidentali (ricordiamo che la lingua giapponese non pone distinzione tra caratteri maiuscoli e minuscoli e, dunque, anche le lettere maiuscole sono “a rigore” un elemento spurio), ma proprio perché lo haiku occidentale è una trasposizione di quello giapponese (scritto su un unico rigo verticale e 17 on) non è possibile far aderire al cento per cento il nostro registro espressivo a quello dei grandi haijin del passato.

Dobbiamo mediare tra un imprescindibile desiderio di conservazione dei canoni classici e l’esigenza fisiologica di “fare haiku” nella nostra lingua madre, lingua che non contempla un catalogo di termini a valenza “divisoria” (eccettuate, forse, le interiezioni), ma simboli grafici convenzionali atti a conferire tonalità ed espressione al testo, oltre che a svolgere funzioni di pausa e di sintassi.
Allo haijin occidentale (e, dunque, anche a quello italiano) è innanzitutto richiesto di aderire a quel cammino di verità e bellezza (fūga no michi ) cui tanta importanza è stata data da Bashō e dalla sua Scuola, per raggiungere quella verità poetica (fūga no makoto) che è il cuore stesso dello haiku.

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Fonte: Sito web: Studiare (da) Giapponese – Autore Riccardo Gabarrini

NB: Questo piccolo trattato spiega l’origine di questa espressione.

MONO NO AWARE, OLTRE IL VELO DELLA BELLEZZA

Il significato dell’espressione 物の哀れ mono no aware si è per certi versi perso nel manto di fascino che l’ha ormai avvolta. D’altronde dare spiegazioni complesse di cose molto semplici è una tentazione molto comune quando si parla di letteratura e ancora di più quando si parla di Giappone e giapponese tra noi appassionati di Giappone. Oggi cercheremo dunque di separare il concetto dalla parola, vedremo da un lato dove nasce questa affascinante idea, e dall’altro vedremo come nasce questa banale (sì, banale) parola.

Mono no aware è un’espressione nata dalla critica letteraria per indicare un concetto che affiora spesso, da mille anni a questa parte, nella letteratura giapponese (prosa e poesia) così come al cinema (dai film in bianco e nero agli anime di ultima generazione).

Il concetto in questione è quello di una partecipazione emotiva di fronte a determinate scene che ci ricordano la caducità delle cose, come tutto sia destinato a passare, morire.

Si avvicina molto all’idea espressa da Virgilio nell’Eneide e sintetizzata nell’espressione “lacrimae rerum” (lacrime del/per le cose), che Virgilio fa usare ad Enea quando questi capisce d’essere al sicuro perché si rende conto di essere tra persone che si commuovono di fronte all’impermanenza delle cose, alla fragilità della vita umana.

Dunque sebbene quello di “Mono no aware” non sia un concetto del tutto nuovo, né solo giapponese, racchiude qualcosa in più del lacrimae rerum di Virgilio.

Parlare di “commuoversi al pensiero della fine”, di fronte alla morte, sarebbe riduttivo. Va detto per esempio che “commozione” è forse un termine eccessivo, perché l’idea dietro l’espressione mono no aware molto spesso porta con sé una serena rassegnazione. C’è commozione mentre il personaggio contempla la scena (o lo spettatore ammira l’opera), ma senza pianto, senza tragedia; gli si unisce invece un’idea (per quanto vaga) che richiama la meraviglia di fronte alle cose.

Mono no aware indica ad esempio l’incanto che un bel tramonto porta con sé, significa percepirne la bellezza, con la consapevolezza, però, che qualcosa di così bello è irripetibile ed avrà presto una fine

Insomma, nell’ammirazione e nella quieta commozione che la scena suscita si annida anche un sereno disincanto, privo sia d’amarezza che di trasporto, una chiara visione del mondo nella sua ineluttabilità e caducità.

La filosofia espressa con le parole Mono no aware unisce così incanto e disincanto; è uno sguardo calmo sulla fine e sull’oblio oltre il velo della bellezza e del sentimento.

Proviamo però a distinguere tra la “filosofia” e l’espressione in sé: “Mono no aware” vuol dire tutto ciò? No. Da un punto di vista etimologico la traduzione di questa espressione potrebbe essere “la commozione (o lo stupore) di fronte alle cose”, mentre la sua traduzione letterale rischia di essere ancor più deludente purtroppo, quasi banale.

Aware è una parola di origine giapponese che, in tempi relativamente recenti, si è iniziato a scrivere あわれ ma che in origine era あはれ ahare (molti suoni “ha” nel giapponese sono divenuti “wa” con il tempo… è successo lo stesso con il famoso termine “kawaii”). あはれ ahare deriva invece da あは aha seguita da un suffisso (れ re) che non ne altera il senso. E cosa significa aha? Più o meno quel che significa il nostro “oooh”! In origine era un’esclamazione usata per esprimere un intenso sentimento, proveniente dal profondo del cuore, un sentimento che poteva essere di gioia, stupore, ammirazione… ma anche di tristezza e di dolore.

Era ancora questo il significato di aware quando venne usato a corte da Sei Shounagon oltre mille anni fa nel suo Makura no Soushi (commenti sul cuscino), quando fu usato nel suo Genji Monogatari da Murasaki shikibu (che in termini più moderni dovremmo chiamare “Lady Violet”).

Ma i sentimenti che sfuggono come un sospiro all’autore non erano appannaggio femminile: aware è usato anche dal guerriero, monaco e poeta, Saigyou, quando, sul finire dell’epoca Heian, durante un viaggio si commuove di fronte allo spettacolo della luna e pensa a come guardare la luna e dire “aware” sotto il cielo della capitale, in confronto non aveva valore, per un poeta era solo un modo di ingannare il tempo e nulla più.

Durante il Medioevo giapponese (1185-1573 d.C.) il significato di aware però cambiò, o meglio, “si ridusse”, perdendo, in un certo qual modo, un po’ del suo fascino. Si iniziò ad usare l’espressione あっぱれ appare, ottenuta sonorizzando, cioè “rafforzando”, il suono della parola あはれ ahare (d’altronde H e P sono “parenti stretti” nella lingua giapponese). Rafforzandone il suono se ne “rafforzò il senso” e appare venne usata per indicare stupore, ammirazione (come oggigiorno) ma anche grande sorpresa, intensa tristezza e perfino per dare un senso di aspettativa o per aggiungere un tono di risolutezza …tutti significati che nella lingua moderna sono stati dimenticati o quasi. D’altronde i kanji che gli sono stati attribuiti sono quelli di “bel tempo” (天晴れ): come potrebbe avere significati negativi?

Cos’è successo nel frattempo ad ahare? Anche lui ha ricevuto dei kanji che ne hanno meglio fissato il significato: oggigiorno si scrive 哀れ o 憐れ, cioè con i kanji che indicano un dolore ed un senso di pietà, compassione, rispettivamente. Nei casi in cui serve ad esprimere commozione si dovrebbe usare rigorosamente la scrittura in kana (caratteri fonetici, diversamente dai kanji sono privi di significato, come le nostre lettere). Dunque al giorno d’oggi si scriverà あわれ aware, ma era あはれ ahare fino a non molto tempo fa. Ancora ad inizio ‘900, per esempio, lo scrittore e poeta Haruo Satou scriveva: あはれ、秋かぜよ情あらば伝えてよ ahare aki kaze yo kokoro araba tsutaete yo, che reso in termini moderni sarebbe qualcosa come “Aaah… Vento d’autunno, per favore, se anche tu hai un cuore, falle sapere che […]”; è l’inizio di una poesia in cui Satou ci lascia intravedere il suo eterno amore per la moglie… la moglie di un altro, anzi, per la precisione la moglie del suo amico, il famoso Tanizaki Jun’ichiro.

Le origini quasi banali dell’espressione aware nulla tolgono alla commovente bellezza del pensiero giapponese riassunto nell’espressione mono no aware, spero però che queste poche righe permettano a tutti di scostare il velo che tanta bellezza inevitabilmente crea e di cogliere la differenza tra il reale significato della parola da un lato e, dall’altro, l’idea, quasi filosofica, a cui è stata associata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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